Regia di Mouly Surya vedi scheda film
In una scuola superiore per non vedenti a Jakarta, Indonesia, si intrecciano le storie dei ragazzi nella loro quotidianità. Studiano, perseguono l’attività artistica e si innamorano. Tra questi seguiamo Diana che attende impaziente l’arrivo della femminilità; Filtri che entra in relazione passionale con un ragazzo non udente credendolo un medico mentre Maya, cieca dalla nascita aspira ad essere attrice e cantante. Nonostante le barriere fisiche gli studenti trovano il modo di comunicare e collaborare tra di loro come con il mondo esterno.
Il film della trentacinquenne indonesiana Mouly Surya prende a prestito in maniera evidente il titolo del capolavoro di Raymond
Carver What We Talk About When We Talk About Love . Ma non per mero omaggio. Il film è infatti un leggero e dolcissimo planare sulla vita di tre coppie di adolescenti ipovedenti o sordomuti, alunni di una speciale scuola indonesiana. Ne prende a prestito la struttura narrativa, piccole storie separate dalle altre idealmente accomunate dalla medesima situazione di vita; osserva i suoi interpreti negli interni della scuola e li pedina nel loro quotidiano lavoro tra scuola e momenti di libertà. L’incomunicabilità che affligge i personaggi di Carver qui è sublimata nell’impossibilità di una comunicazione convenzionale ma questo impedimento fisico non limita affatto i protagonisti del film che sono protesi in tutta loro vitalità verso la ricerca di un sentimento amoroso che li completi. Le storie si sfiorano e si allontanano tra loro come particelle emananti la stessa carica elettirca, i ragazzi sono anime rinchiuse ognuna nel proprio universo privato, si cercano e si ingannano sfruttando l'uno le debolezze altrui in un moto perpetuo di ricalibrazione delle coordinate del mondo.
Si assiste ai dolci, a volte sottilmente comici approcci amorosi dei ragazzi che bloccati loro malgrado in un universo percettivo completamente diverso, acuiscono gli altri sensi per avvicinarsi a quell’amore che sentono nascere. Profumi, suoni, uno sbuffo di vento. Una canzone o una voce. Un inganno d’amore. La regista evita qualsiasi pietismo nel riprendere i suoi ragazzi. Li aspetta nel loro morbido muoversi, ne scruta i volti e le espressioni, ne interpreta i silenzi. E gli sguardi. Che potrebbe essere una contraddizione ma è così, la vita e la voglia di viverla appieno aprono a percezioni che travalicano le barriere e quell’ orizzonte privato, mentale, molto personale verso il quale puntano gli sguardi non è affatto il nulla ammantato di tenebra ma solo un’idea discorde di un mondo regolato da una fisica diversa. Il pregio di questo delicatissimo film, sospeso in uno stile semi-documentaristico, è quello del profondo rispetto che filtra da ogni inquadratura. E’ uno sguardo puro, quello della macchina da presa, onesto anche nelle sgradevolezze o nel dolore eventualmente, poiché tutto fa parte della vita, e che soprattutto, rifiuta qualsiasi didascalismo o spiegazione. E’ tutto li, per chi vuole vedere.
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