Regia di Gabriela Cowperthwaite vedi scheda film
L’intrattenimento che uccide. Una parte - nemmeno poi così ristretta - della boriosa umanità si divide in due categorie: chi plaude gli spettacoli circensi di animali sottratti alla loro vita e chi diventa ricco grazie a quest’ultimi.
Che ci sia poco di che stare allegri, lo impariamo ogni giorno, che la condizione di cattività degli animali sia il più delle volte uno stupro, è altrettanto noto a chi ha coscienza, ma il marketing miete vittime e il meccanismo prova ogni carta per non fermarsi, anche di fronte alla morte.
Gabriela Cowperthwaite fa dell’orca assassina Tilikum, brutalmente tolta al suo habitat naturale, la protagonista di un documentario dal forte impatto emotivo, che assume connotati variabili tra thriller, horror e la manifestazione di un malessere, di una dolorosa mancanza di giustizia che non riguarda solo l’animale.
La sua storia è segnata dal sangue ma soprattutto dall’impossibilità di dare un freno a una macchina di morte e privazione. Il rapporto tra uomo e natura è compromesso, soggiogato dalla malafede, partendo da una separazione, dal proprio sangue e ambiente, che non può che essere solo il primo passo di mille problemi a seguire.
La lezione è presto tratta: questi spettacoli seguono la falsariga di quelli cinematograficamente offerti, e sofferti, dal John Merrick di The elephant man.
Davvero possiamo gioire e divertirci di fronte al dolore di animali ridotti in cattività? Tutto stride di fronte all’avidità e alle falsità di chi disprezza la vita preferendogli il lauto guadagno, cercando ogni via d’uscita per non fermare lo show.
Se il messaggio è chiaro, l’ispirazione è trattenuta. Blackfish è un documentario elaborato che non può essere accantonato, che merita per la sua testimonianza di uno stress psicologico, per menzionare una realtà, con i suoi trascorsi e il suo presente. Inoltre, nonostante tutto il suo sangue versato, il dolore, umano e animale, e i versi provenienti da sotto il pelo dell’acqua, riesce a donare una malinconica umanità a un killer seriale, a dispetto di un’immagine assassina per passione, sedimentata nel tempo anche grazie al cinema di finzione (vedi L’orca assassina). La realtà è un’altra: in natura nessuna aggressione di orche agli umani è certificata.
Già permettere di ragionare su questi elementi, rende meritevole il film, al quale una minor romanza avrebbe giovato, soprattutto perché il soggetto poteva funzionare tranquillamente senza l’aggiunta di un’enfasi che rischia di apparire come una forma di furbizia.
In ogni caso da vedere, anche solo per farsi un’idea dello stato delle cose, soprattutto per chi ha a cuore certi temi legati al mondo animale.
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