Regia di Paolo Bianchini vedi scheda film
Regia ispirata quella di Bianchini, che inizia subito spiazzando il genere con idee visive figlie dell’epoca: un certo tipo di montaggio, le voci over, inquadrature distorte, la “grana grossa” dell’immagine che non è solo della pellicola, ma anche dell’idea stessa della messa in scena. E poi c’è quel sole inquadrato dal basso che appiattisce le figure dei personaggi e le oscura tutte come se fossero solo delle sagome da mettere su uno scenario. C’è una fase centrale del film un po’ legnosa, che rallenta il gusto iniziale. Poi si riprende ed i toni aumentano. Si sfiora il barocco da operetta in più di un’occasione, e c’è una piega drammatica non irrilevante se consideriamo il modulo giallo-spionistico che contamina il genere madre non indifferentemente. Il pregio del film è comunque di non dare troppo peso né ad un registro né all’altro, né ad un modulo né all’altro. Le scene tipicamente western sono di una solarità accecante, e il “caldo” del titolo è facilmente avvertibile in diverse scelte icongrafiche. Ma anche tutte le parti dedicate agli enigmi, ai misteri e alle indagini del protagonista sono rese con il registro giusto, annerite e sospese quanto basta per ritrovarsi di colpo in un altro film. Certo, il giallo ad enigma ci becca un po’ poco con il western, ed è una sua via spuria che ha dato più dolori che gioie, ma Bianchini, ripeto, ha avuto il giusto senso della misura e ha calibrato l’impianto “nero” in funzione di quello western. Il risultato è un film davvero piacevole che aumenta di fascino progredendo nella pellicola. Certo, i dialoghi sono quelli che sono, ma c’è un impatto visivo notevole che supplisce a molte mancanze di stile nella recitazione e nella sceneggiatura.
Il film scomoda sia il celebre Pinkerton che il celebre Gatlin dell’omonima mitragliatrice. Questo però non è indice di adesione alla realtà storica perchè poi la vicenda prende altre pieghe e si fa spionistica. Su tutti i personaggi però troneggia John Ireland in un ruolo bizzarro che mischia insieme il nobile aristocratico e il messicanaccio rozzo. Anche il côté è quello fascinoso del pirata barocco, un po’ Otello e un po’ Fernando Sancho. Ed è anche un ruolo imprevedibile, tragico. Scespiriano si potrebbe osare, considerando l’inquietudine del suo Tarpas (già il nome sembra quello uscito da un’opera lirica) che vive sospeso tra il cieco divenire materia della sua brama di ricchezza e la sua consapevole ascesa a capobranco. Bizzarro, ma non esasperato, il Tarpas di John Ireland fa il paio con la suggestione visiva che Bianchini ha scelto per corredare il suo film.
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