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Child of God

Regia di James Franco vedi scheda film

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La recensione su Child of God

di FilmTv Rivista
9 stelle

Uno dei migliori film del 2014 è, per chi scrive, The Counselor Il procuratore di Ridley Scott, dal primo testo scritto da Cormac McCarthy espressamente per il cinema. Da un punto di vista cinematografico è esaltante la “scrittura” di Scott, che non rinuncia alla propria magniloquenza pur raccontando una storia la cui tragicità senza rimedio è evocata quasi esclusivamente dai dialoghi. La sceneggiatura, invece, può essere considerata come l’undicesimo romanzo di McCarthy, tanto è densa di spunti letterari raffinati (il dialogo tra Michael Fassbender e Bruno Ganz lascia senza fiato). Rispetto a Figlio di Dio/Child of God si nota un pessimismo ancora più marcato circa le sorti dell’umanità (quel che ci aspetta, evidentemente, è The Road...), eppure anche questo libro di trent’anni fa parla di un mondo edificato sulle tombe (le grotte dove si celano spoglie di gente morta, donne...). Forse l’America di McCarthy già allora non era un paese per vecchi, e sorprende che a tradurne al meglio l’immaginario sullo schermo sia un “giovane”, per di più acclamata star hollywoodiana, come appunto James Franco. “Child of God” è l’espressione americana che indica i ragazzi con disabilità mentali. Il protagonista Lester Ballard (Scott Haze) è un sociopatico che non trova argine ai propri impulsi feroci e si trasforma in un «troll delle montagne» assassino, inevitabilmente braccato come un animale dalla gente del posto. James Franco, che si ritaglia il ruolo minore di uno dei persecutori, concepisce il film partendo dal confronto molto fisico tra il protagonista e lo “stato di natura” al quale è costretto, preparando lo spettatore agli omicidi seriali della parte finale come fossero diretta conseguenza della cattività. Lester però è patologicamente violento e fuori di senno; cosa dobbiamo invece pensare degli “altri”? La domanda è anche nel libro, ma più nel film. Franco infatti, aiutato dalla performance di Haze, accentua la follia, più sfumata in Cormac McCarthy, per il quale la terminale degradazione del ragazzo è una specie di chiusura del cerchio (ritorno allo stato di violenza primitiva). Così facendo rende la parabola del film politica, e per questo diversamente interessante. Premesso che quasi preferisco Franco dietro la macchina da presa piuttosto che davanti (sarà un nuovo Sean Penn?), Child of God si dimostra opera matura e potente, sicuramente da non perdere.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 4 del 2015

Autore: Mauro Gervasini

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