Regia di James Franco vedi scheda film
Film gemello di “As i lay dying”, e trasposizione come quest'ultimo di un breve romanzo (stavolta si passa da Faulkner a Corman McCarthy, autore di punta molto venerato dal cinema negli ultimi anni se si pensa ai Coen -Non è un paese per vecchi - e a Tommy Lee Jones - Sunset Limited, per non parlare della trasposizione di The Road di Hillcoat), Child of god ci trasporta come il precedente (o seguente, i film sono entrambi del 2013, anno vivido di progetti per un Franco versatile e onnipresente) nel cuore di un'America rurale spietata e livida, tetra e folle, crudele e senza via di scampo per i diseredati e i reietti. Lester Ballard è certamente un diseredato ed un reietto, come lo è Suttree e come lo sono quasi tutti gli anti-eroi dell'universo tragico e senza scampo che popola le opere di McCarthy. Ma il nostro Lester è completamente folle, per nascita o per solitudine questo in realtà non lo sappiamo con certezza. Cacciato dalla sua terra, così solo da esser costretto a parlarsi da solo biascicando frasi spesso senza senso compiuto dirette a se stesso o agli animali di pezza che lo accompagnano muti e rassegnati nei suo girone di perdizione e disfatta totale, Ballard vaga tutto il giorno per i boschi a caccia di cibo, razzia pollai affamato e sfinito, incontra personaggi eccentrici di un mondo non meno apocalittico del futuristico e tragico La strada: destando sospetti tra la popolazione e tallonato da uno sceriffo (il solito ottimo e quasi deformato e molleggiato come il "Pippo" di Disney Tim Blake Nelson) che ha trovato il personaggio adatto su cui addossare molte scomode responsabilità per incidenti e sparizioni.
Franco mi pare riesca a cogliere alla perfezione, come nella già citata trasposizione da Faulkner, l'atmosfera mortifera di una civiltà imbarbarita fino al macchiettistico che popola i romanzi spietati del grande scrittore premio Pulitzer: per questo il regista non si preoccupa certo di piacere e accattivare: e scelte dure, spietate, che mostrano ad esempio il nostro devastato protagonista defecare, sbavare come un cane rabbioso, le riprese accanite e tormentate su un volto deformato dal ghigno della follia e devastato da secrezioni nasali e di ogni altro tipo, quelle insistite sui rapporti sessuali necrofili del protagonista con giovani donne decedute, sono un prezzo necessario e apprezzabile per coerenza e adeguatezza che legano indissolubilmente il film alle tematiche dell'opera originale che si cerca di trasporre al cinema. Fino a farci addentrare nella caverna degli orrori dove la follia rende l'uomo più letale, irragionevole e bestiale di ogni altro essere vivente.
Popolato di personaggi di contorno ancora più sgradevoli del nostro folle protagonista, Child of God si avvale di una interpretazione straordinaria di Scott Haze (presente anche nel già citato e gemello As I lay dying) che riesce a rendere con una mimica facciale davvero unica la deformazione permanente causata da una follia che nasce e si coltiva e cresce col contributo del disinteresse e della crudeltà dilaganti tutt'attorno.
Presentato con un certo coraggio e orgoglio in Concorso a Venezia 2013, il film, che vede Franco, star sempre più poliedrica ed attiva, apparire in un cameo verso la fine, ha diviso critica e ancor più il pubblico senza mezze misure, contendendo appassionati sostenitori (probabilmente chi è avvezzo all'asprezza della pagina di McCharthy) ai convinti detrattori: sintomo quest'ultimo comunque significativo ed indicativo di un'opera dotata di carattere e a suo modo riuscita, a mio avviso per diverse ragioni, ma se non altro per essere in grado di rifuggire ogni compiacimento, restando fedele alle atmosfere di morte che trapelano dalla eccezionale opera di McCarthy.
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