Regia di Scott Cooper vedi scheda film
Cooper, film dopo film, si avvia a diventare un grande regista, uno di quelli su cui si può contare. Sempre. Classe 1970, si era già fatto notare con il notevole western "Broken Trail", con la storia sudista di "Get Low" e con la ballata country "Crazy Heart", il suo film più importante, con un malinconico Jeff Bridges e le canzoni da Oscar di Ryan Bingham. Molti attori importanti, ormai, lavorano con lui. In quest'ultima fatica schiera pezzi da novanta del cinema americano, come Sam Shepard, Willem Dafoe, Forest Whitaker. Woody Harrelson e uno splendido Christian Bale. Senza dimenticare Casey Affleck o Zoe Saldana. Mica paglia, insomma. Ma la cosa più importante è che il suo cinema non perde minimamente di potenza e fascino, non smuove di una virgola la sua visione di un'America di frontiera, che sia quella del west o quella di oggi, della provincia, profondissima, distrutta dalla crisi, economica e sociale, e da guerre che riportano a casa soldati, ragazzi, condannati al nulla, lasciati soli. E', in fondo, un'altra ballata, springsteeniana, blue collar, con la grande fabbrica, la fornace d'acciaio, che domina su una piccola cittadina del midwest americano, che giace come un'ombra, prossima alla chiusura, sulle vita di due fratelli, chi più chi meno, allo sbando e in balìa dei propri demoni. Una storia amara, di resistenza e di vendetta, con gli attori perfettamente in parte, che lavorano in sottrazione, credibili e malinconici. L'America ancora una volta ne esce a pezzi, l'America di Obama arranca ed è in ginocchio a pregare, tutto quello che riesce a fare. Cooper racconta tutto questo, senza concessione alcuna, per un film bellissimo e molto riuscito. Fra le cose più belle viste di recente.
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