Regia di Ben Stiller vedi scheda film
I sogni segreti di Walter Mitty è tratto dal racconto di due pagine e mezzo di James Thurber pubblicato nel 1939, remake aggiornato alla contemporaneità del film di Norman Z. McLeod, The secret life of Walter Mitty (1947) , un classico del cinema dei sognatori bambini e - una volta – appuntamento fisso dell’ingessato palinsesto natalizio di ogni tv nazional popolare, uscito in Italia come Sogni proibiti con un grandissimo Danny Kaye e Borsi Karloff e poi infracchiato nel supercult Sogni mostruosamente proibiti di Neri Parenti ( 1982) con un Villaggio interprete del mite antieroe sognatore dal consueto, totemico nome: Paolo Coniglio.
Questa versione va a colpo sicuro perché calza perfettamente sulle caratteristiche dell’attore dalla comicità amarognola, a volte dissacrante, fintamente radical cool di Ben Stiller. Qui anche regista . Quello di Stiller è un aggiornamento di un classico alla contemporaneità della società in crisi, nella quale gli uomini sono numeri da sacrificare alla legge dell’economia e il passaggio alla smaterializzazione digitale di ogni contenuto svuota di materialità anche le vite degli esseri umani.
Mitty è un uomo all’antica, non pavido ma prudente, legato ad un passato nostalgico nel quale le cose mutavano con la lentezza ritmica delle vite delle persone che erano protagoniste di quel cambiamento.
Responsabile dell’archivio negativi della rivista Life , è sorretto da una fede incrollabile per il suo lavoro, svolto con dedizione religiosa . Analogo rispetto rivolge agli scatti dei grandi fotografi attraverso i quali conosce il mondo che non ha mai deciso di affrontare.
Favoleggia, sogna, si perde in quelle avventure vissute da altri, filtrate dall’action dei film , dalle romanticherie del cavaliere che salva la dama. Sogna quello che potrebbe essere e che , sulla certezza del licenziamento, decide di essere.
Quasi inconsapevolmente però, mettendosi alla ricerca del più grande fotografo del mondo Sean (Sean Penn) del quale ha perso il negativo dello “scatto della vita”. Il negativo definitivo, quello che mostra la verità della vita stessa.
I sogni segreti di Walter Mitty non ha l’ingenuità dell’originale ma rimane un film costruito sulla necessità di essere ottimisti, soprattutto perché incentrato su una contemporaneità che non ammette leggerezza. –Tra gli uomini, ingranaggi a perdere di una società che ha estirpato loro anche l’ultimo baluardo di salvezza, il sogno, Mitty è a suo modo un eroe visto che non solo riesce a sognare ma si permette pure di realizzare ciò che sogna. Il personaggio disegnato sulle perfetta maschera di Stiller, un po’ sbigottito ma mai domo, dallo sguardo insieme triste e ribelle, non è altro ciò che dovrebbe essere un essere umano in una società giusta, realizzato, coraggioso, felice. Purtroppo per differenza con la realtà queste doti base sono da considerare quasi superpoteri.
Mitty è l’uomo medio alla riscossa che rivendica la propria individualità, il diritto ad un proprio spazio fisico rispettato e condiviso da altri simili in un concetto di mondo sempre più smaterializzato e globalizzato. I suoi sogni sono quindi digitali e grezzi, sono iperbolici e salvifici visto che lo estraniano dalla realtà monocorde che abita.
Solo girando il mondo, sganciandosi dai legacci della società e dai feticci del passato , conoscendo persone diverse, riconoscendo le persone che gli stanno accanto (la madre Shirley MacLaine, e la sorella) Mitty riesce a comprendere il senso della vita, facendo con estrema normalità quello che per altri, categoria di cui faceva parte, sono solo sogni straordinari. Proibiti.
Divertente e amaro insieme, il film è in pieno stile total Stiller, difetti compresi. Se lui è perfetto per la parte e bravo in regia accostandosi con scelte non convenzionali ad una narrazione che pretende ritmo e introspezione; così come è brava la co protagonista Kristen Wiig comedian proveniente dal Saturday Night Show e con il cameo di Sean Penn sottratto e selvaggio come non gli accadeva da tempo, alcuni personaggi sono invece troppo caratterizzati (Adam Scott, il manager tagliatore di teste scemo alla bisogna) al limite della caricatura, mentre il bel finale a sorpresa (ed è una bella sorpresa) è appesantito da un’ evidente caduta di ritmo e da un’evitabile eccesso di retorica che stempera tutta l’acidità della vicenda in una inutile melassa fastidiosamente esplicativa.
Resta comunque un film lieve, pensante, dall’ottima colonna sonora (David Bowie su tutti con la reinterpretazione di Space Oddity da parte della Wiig) che si propone, senza affondare nel dramma o nell’intellettualismo di denuncia, come una classica commedia contemporanea.
Forse senza i difetti di cui sopra e con una chiusura un po’ più secca si parlerebbe di un film ottimo ma non si può avere tutto. Le regole di Hollywood sono chiare e a queste regole Stiller – Walter Mitty- ancora non è riuscito a ribellarsi.
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