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Camp Hope

Regia di George VanBuskirk vedi scheda film

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La recensione su Camp Hope

di scapigliato
8 stelle

Oggetto strano questo Camp Hope di George VanBuskirk – in originale il più evocativo Camp Hell. A metà strada tra un film sulle possessioni demoniache e un irrisolto slasher vecchia maniera – non ci sono ammazzamenti di nessun tipo – Camp Hope è in realtà un riuscitissimo film di denuncia mascherato fino all’ultimo da spot propagandistico. Solo a film concluso riusciamo a farci un’idea precisa e chiara di dove voleva andare il regista.

Will Denton è un ragazzino la cui famiglia fa parte di una comunità cattolica integralista e come ogni anno viene spedito al campo estivo con gli altri ragazzi della sua età, coordinati da un prete-guru e da assistenti invasati da Gesù Cristo e dalla Madonna. La proibizione tassativa di tutti i segni distintivi della gioventù (bruciata), vale a dire i fumetti, la musica rock, la masturbazione o il sesso con ragazzi e ragazze, comprese le fantasie erotiche, è solo una delle tante castrazioni che compie questa comunità cattolica per plagiare le giovani menti e poterle così comandare, strumentalizzando la libertà individuale e indirizzandola verso un preciso consenso obbligato.

I ragazzi percepiscono queste limitazioni, ma non riescono a vederne il male. Solo uno di loro, Connor Paolo, e una ragazza in odore di apostasia, sembrano mettere in discussione tali dogmi. Il protagonista, invece, quindi lo spettatore nella sua fase empatica, si lascia risucchiare da tali costrizioni proprio in una fase di grandi incertezze e dubbi adolescenziali, e nonostante l’esperienza selvaggia del petting con la ragazza ribelle, non riesce a superare la soglia e torna sui suoi passi fondamentalizzando il proprio credo.

Il motore narrativo di Camp Hope è comunque la presenza del Diavolo. Le apparizioni del maligno sono rappresentate come in un classico film dell’orrore, a intermittenza, improvvise, e suggeriscono la possessione demoniaca del protagonista. Inoltre, l’intrusione del Diavolo nella realtà diegetica, e non più solo negli incubi notturni di Will Denton, avviene esattamente durante la trasgressione della proibizione sessuale, durante lo strofinamento pelvico dei due adolescenti, vestito contro vestito, e conseguente eiaculazione, il tutto ambientato – guarda caso – nel bosco di notte, dove l’elemento tellurico è testimone compiacente dell’atto ribelle e ne fa un tutt’uno con la propria terricità.

L’aspetto più interessante del film è però la totale assenza di un punto di vista opposto, che poteva benissimo essere un ragazzo ribelle, il genitore scettico di uno di loro, un terzo personaggio che avesse a cuore la causa laica. Invece le uniche voci dissonanti sono quelle di personaggi volutamente poco credibili, come il gruppetto dei dark-boys metallari tutti “diavolo & anticristo” oppure il padre di Connor Paolo, medico e quindi istintivamente scettico e sul piede di guerra con la comunità veterocattolica. Ma come già detto sono personaggi senza spessore drammatico, poco più che comparse o generici.

Il film tende quindi a dare l’impressione di essere uno spot propagandistico a favore dell’integralismo cattolico, utilizzando il genere horror esattamente nella modalità inversa con cui i celebri maestri di sempre, da Craven a Hooper passando per Romero, erano soliti attaccare l’impianto clericale. In realtà, nell’assenza del punto di vista contrario, il film entra visceralmente dentro il fanatismo e tutte le sue conseguenze. Grazie all’unidirezionalità ideologica espressa, il regista attacca duramente e senza mezzi termini la follia religiosa accusando la confessione cattolica di essere alla base di tutti i mali del mondo e di tutte le turbe umane che inquinano la vita civile.

Interessante è infatti la svolta narrativa per cui, una volta deciso di non voler più credere in dio, il giovane protagonista si libera definitivamente degli incubi demoniaci, a conferma che era la sua credenza, era la sua fede e la sua educazione cattolica ad obbligarlo a vedere il diavolo in ogni cosa. Bellissima infatti una delle scene finali, quando Will Denton sul lettino d’ospedale dopo esser stato salvato da un’isteria di gruppo che ha procurato un infarto al prete Bruce Davison, chiede a sua madre con estrema lucidità e consapevolezza il permesso per non poter più credere in dio. Una scena semplice, leggera, senza fronzoli, ma piena di carica civile.

Aspetto interessante del film è anche la messa in scena che solo apparentemente sembra quella di una fiction televisiva venuta meglio della media. L’estetica semi-documentaristica aiuta notevolmente nell’intenzione autoriale di portare lo spettatore esattamente al centro della comunità cattolica e fargli percepire l’oppressione ideologica e la contraddizione simbolica della propria libertà conquistata. In più c’è un gioco morboso abbastanza riuscito in cui, pur senza scene di nudo alla Larry Clark, ci sono comunque passaggi di un certo erotismo, come Will Denton che tenta di masturbarsi a letto di notte oppure mentre osserva le gambe giovani della sua ninfetta preferita mentre si alza la gonna per recuperare una palla nel lago, oppure emblematica la lunga scena dello scandalo: ragazzo e ragazza uno sopra l’altra, vestiti, a muoversi a ritmo di copula fino all’orgasmo finale. Il tutto da far apparire i film di DeCoteau come soli esercizi di stile – se non fosse per l’esibizione shirtless dei suoi attori, cosa che manca in VanBuskirk.

C’è comunque un piccolo mistero all’interno dell’impianto narrativo: il ruolo ricoperto da Dante Alighieri e dalla Divina Commedia. Inizialmente sembra essere un libro proibito che servirà poi al giovane protagonista come arpiglio per salvarsi dal fanatismo del campo estivo, poi invece  diventa il libro che ne causerà gli incubi. Colpevoli sarebbero i disegni di Dorè. Alla fine del film infatti, dopo aver ritrovato la serenità atea, Will Denton si sbarazza del vecchio libro della Commedia lanciandolo fuori dalla macchina in corsa.

Ora, il valore di Dante non può essere messo in discussione solo per questioni ideologiche. Campione della cristianità occidentale, Dante viene visto dai fanatici cattolici di Camp Hope come un esempio da seguire, da leggere e rileggere – e quindi per contro ha un’accezione negativa nell’economia del film. In realtà, l’esperienza dantesca è un’esperienza laica, e poco ci becca con il fondamentalismo religioso. Se vogliamo trovare una colpa al regista e al film è solo in questa pretestuosa visione dell’opera dantesca che non rende giustizia al vero senso ultimo della Commedia che non è il fanatismo religioso quanto la rappresentazione di un travaglio interiore che non appartiene né a dio né al Diavolo. Perché inesistenti.

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