Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Valentino Liberace è un pianista estroso, vanesio e azzimato; il suo amante Scott Thorson è un ragazzone ruspante e cocainomane. I personaggi sono reali, e la ricostruzione d’epoca è fedele: la pacchianissima villa di Liberace è un trionfo di edonismo e cattivo gusto, la sua apparente generosità maschera un’egolatria che arriva a ricorrere alla chirurgia plastica per trasformare il ragazzotto in un doppione di sé. Come di consueto, Soderbergh opta per una messa in scena fredda e distaccata, fatta apposta per non coinvolgere lo spettatore: racconta due protagonisti che gareggiano in antipatia, non risparmia i dettagli più squallidi del loro rapporto e li conduce verso un sottofinale processuale dove volano gli stracci, come in una normale coppia etero, ed emergono i veri rapporti di forza fra i due; anche se poi la conclusione è conciliante. Sullo sfondo c’è la società benpensante, che costringe Liberace a nascondere la propria omosessualità dichiarando pubblicamente di amare Sonja Henie; ma l’argomento è solo sfiorato. Divertente il flashback sulla morte di Kennedy.
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