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Dietro i candelabri

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su Dietro i candelabri

di alan smithee
8 stelle

Giunto all'ultimo film (dichiarazione spontanea del regista a cui in reltà pochi credono veramente), Steven Soderberg (ri)trova un pò del sentimento che latitava nelle sue ultime opere (magari impeccabili, ma decisamente glaciali). Lo ritrova nel raccontarci gli ultimi anni di vita di una eccentrica celebrità che fece sempre parlare di sè ad Hollywood più per la stravaganza dei propri atteggiamenti o modo di apparire, che per l'indubbia capacità artistica di cui era dotato. La vita del musicista "Walter" (per gli amici) Liberace, per tutti gli altri Liberace o semplicemente Lee, è raccontata dal cinquantenne prolifico regista americano con ironia, ma anche con una partecipazione che sospettiamo a volte sia contaminata persino un senso di commozione, per un regista che sospettavamo avesse smarrito da tempo ogni parvenza di umano sentimento . Una vita spesa nel lusso che sconfina irrimediabilmente nel kitch (altro che semplici innocui candelabri! qui si parla e si mostrano pellicce chilometriche del valore di 300 mila dollari, di autovetture d'oro massiccio, bagni tempestati di diamanti) e nel paradossale; un'esistenza sempre sopra le righe, circondato di mondanità e bellezza (soprattutto maschile, per quanto l'artista rinnegasse tenacemente e contraddittoriamente ogni sospetto di omosessualità, inevitabile a ben vedere). L'opera di Soderbergh si concentra nel periodo dal 1977 sino alla morte, avvenuta dieci anni dopo, focalizzando molta parte della storia sulla passione e sulla storia d'amore col biondo aitnte Scott Thorson, di almeno trent'anni più giovane, col quale si creò un rapporto figlio/amante con ripercussioni nella personalità del più giovane, che arrivò persino a sottoporsi a interventi chirurgici di ricostruzione per somigliare maggiormente al suo "maestro" e mecenate di uno stile lussureggiante e debordante.  
Dietro i candelabri è un film molto riuscito, non solo grazie ad un regista ispirato come ai bei tempi di Erin Bronkovich e Traffic, ma anche grazie alla straordinaria interpretazione fornita da un Michael Douglas perfetto e strepitoso, vecchio da far paura per un attimo e poi immediatamente ringiovanito con cerone ed interventi. Un Liberace molto somigliante, non solo fisicamente, ed una interpretazione che fa intravedere una possibilità (meritata) di Oscar alla prossima edizione 2014. Pure Matt Damon nel ruolo dell'amante si sottopone ad un tour de force notevole, tra ingrassamenti, massa muscolare scolpita e di nuovo dimagrimenti, per rendere meglio un personaggio che trova nell'eccentrico musicista un dio da adorare e rispettare divenendone la sua immagine, per poi esserne scaricato e rinnegato nel peggiore dei modi, ma trovando forse in tal modo la via della salvezza dal contagio dell'Aids che in quesgli anni, dopo Rock Hudson, iniziò a decimare il mondo dello star system, dilagando poi ovunque. Tra gli altri attori di un cast davvero importante, mi piace ricordare la strepitosa interpretazione del ritrovato Rob Lowe, qui nei panni del chirurgo (assassino, ma solo per i devastanti risultati, sui suoi pazienti e su se stesso, derivanti dai propri interventi di ricostruzione estetica) dalla faccia devastata in una immobile eterna giovinezza che non gli permette più alcun movimento od espressione (ma pure Liberce, che dorme ad occhi aperti perché gli interventi accaniti su di lui non gli permettono di chiudere più le palpebre, costituisce nel film un momento davvero a metà strada tra l'esilarante ed il tragico). Nei panni dell'anziana madre del divo ritroviamo volentieri dopo tanto tempo una indimenticata Debbie Reynolds.
Soderberg smette per davvero? Chi può dirlo. Peccato, se sarà vero, proprio ora che tornava a piacermi dopo la sconcertante freddezza dell'ultima sua decina di film girati a ritmo forsennato e senza soluzione di continuità, da macchina da lavoro quale è.

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