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Lidice

Regia di Petr Nikolaev vedi scheda film

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La recensione su Lidice

di OGM
8 stelle

Un villaggio ceco, a pochi chilometri da Praga. Raso al suolo dalle truppe di occupazione tedesche nel giugno del 1942. Le case furono date alle fiamme, gli uomini e i ragazzi uccisi, le donne e i bambini deportati nei campi di sterminio. Il tutto sulla base di un flebile indizio, sufficiente, però, per i funzionari del Reich, per individuare, in quel paese di poche anime, la base operativa degli autori dell’attentato costato la vita a Reinhard Heydrich, l’ufficiale delle SS posto a capo del Protettorato  di Boemia e Moravia. Secondo il romanzo di Zdenek Mahler, da cui il film è tratto, il sospetto sarebbe nato da un equivoco provocato da una lettera inviata da un giovane alla sua innamorata. Una parentesi romantica, dalle conseguenze funeste, in un’amara pagina di storia, in cui la guerra fa da sfondo ad una vicenda dolorosa: quella di un padre adultero che uccide il figlio nel momento in cui questi pubblicamente lo accusa. Durante la colluttazione, parte accidentalmente la coltellata fatale e l’uomo viene condannato per omicidio preterintenzionale. Finisce in carcere, dove lo aspettano quattro anni di lavori forzati. Lì dentro la vita è dura, ma gli echi della guerra vi giungono come suoni soffusi e lontani, incapaci di descrivere l’effettiva portata dell’orrore. Frantisek Sima, tra quelle mura, continua a sperare nella pace e ad aspettare la libertà, anche nel momento in cui la sua famiglia, i suoi amici e il suo luogo natale  cessano di esistere. La realtà è spaccata in due, mentre le sue metà si scambiano i ruoli: la maledizione, d’un tratto, si trasforma nella salvezza, l’inferno in una specie di paradiso, in cui, se non altro,  viene risparmiato al cuore lo strazio insopportabile di assistere alla distruzione del proprio mondo. Questo racconto raduna, nella sua trama dallo sviluppo confuso ed incredibilmente tragico, tutte le espressioni del male senza perché, distribuendo a caso la fortuna, la sventura, l’innocenza, la colpa, secondo la macchinazione di un destino a cui la miopia dell’uomo ha inceppato l’ingranaggio. Non è facile narrare una successione di eventi di cui sfugge la logica, perché la concatenazione di causa ed effetto è uscita dai binari della coerenza, per imboccare la strada di una follia assassina. È incomprensibile, anche alla luce della ricostruzione storica, il meccanismo che fa scattare l’ora di tutti, senza distinzione alcuna, sotto la spinta di una necessità dall’origine misteriosa. L’azzeramento di un universo realizza un’inquietante perfezione, in cui il nulla riesce a vincere, in maniera definitiva e assoluta, affermando la propria totale indipendenza dalle normali leggi del tempo, oltre alla più completa indifferenza nei confronti di ogni valore umano. La catastrofe si compie in un attimo, sbucando improvvisamente dal buio: al termine della sua nefasta incursione, la sopravvivenza e il ricordo  rimangono nel vuoto come presenze senz’anima, travolte dall’impulso a dimenticare e ricominciare daccapo, congelando la memoria nell’anonimato dei monumenti. Molte donne, oggi, si chiamano Lidice, ma il paese di un tempo è rimasto sepolto sotto la terra e l’erba. Il suo nome, oggi,  appartiene a un luogo diverso, sorto ex novo senza nessuna relazione col passato. Questo film vuole riportarci indietro negli anni, fino a ritrovare il senso della continuità spezzata, il dramma di essere parte di qualcosa che tutti vorrebbero archiviare con gli onori spettanti alle glorie ormai tramontate. Frantisek è l’assassino che, scontata la pena, è costretto a proseguire i suoi giorni nel ruolo umiliante di testimone inascoltato. Lui incarna la realtà vivente, irrimediabilmente ferita e disperata, che precede la distaccata obiettività  delle cronache e la retorica delle rievocazioni. È un urlo soffocato dal generale silenzio che, pietosamente e con un certo sollievo, suggella la fine di ciò che non potrà mai più tornare.

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