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Naufragio

Regia di Pedro Aguilera vedi scheda film

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La recensione su Naufragio

di AtTheActionPark
8 stelle

Naufragio è una pellicola che può lasciare dubbiosi, spaesati. Il secondo lungometraggio di Pedro Aguilera, infatti, è un’opera profondamente misteriosa, enigmatica come il suo protagonista, Robinson. Questo ragazzo nero “gettato nel mondo” - con fare heideggeriano – ha una missione da svolgere. Risvegliatosi su di una spiaggia con indosso pochi vestiti e un zainetto con, al suo interno, delle pietre sciamaniche, Robinson viene guidato da Dio lungo un viaggio che lo porterà ad incontrare donne e uomini diversi, ma tutti ben disposti ad aiutarlo. Egli però, pur accentando i numerosi favori, sarà mosso solo ed unicamente dal suo scopo finale: uccidere un barbone che vive nei boschi.
Per provar a dare un senso a questa pellicola a tratti indecifrabile si può partire dall’interessante – e, probabilmente, non casuale - nome del ragazzo, “Robinson”, nome che ci riporta alla mente il protagonista del romanzo omonimo di Daniel Defoe, Le avventure di Robinson Crusoe. Nel libro, Robinson era un inglese che naufragava su di un’isola deserta. Sull’isola avrebbe poi conosciuto il nero Venerdì, e con lui avrebbe iniziato una nuova civiltà, insegnandogli a parlare e facendogli conoscere la Bibbia. Il “Robinson” di Aguilera è, invece, un nero in una civiltà di bianchi – gli spagnoli – che, però, non tenta né di colonizzare, né tantomeno di civilizzare nessuno. Anzi, il suo interesse per lo sciamanesimo e le sue maniere primitive, ne fanno un essere atavico, primordiale, pre-colonizzato. Anche un tentativo di collocazione cattolica del personaggio – egli parla con Dio - è pressoché fuorviante: il suo intento è quello di uccidere un uomo: principio che mina alla base i dettami cristiani. La sua riluttanza al sesso ne fanno un essere tra l’ascetico e il trascendentale, che rigetta i piaceri terreni della carne per concentrarsi unicamente sulla sua missione. Aguilera, dunque, mette in campo più riferimenti, ma è pronto (saggiamente) a scompaginarli, per amplificare l’enigmaticità (e il fascino) del film.
Naufragio, ad uno sguardo ulteriore, divine inoltre metafora. Robinson viene “gettato” sulla Terra unicamente per percorrere quel “vaggio dell’eroe” di volgeriana memoria. Egli viene investito della funzione di protagonista, e gli viene conferito anche un antagonista con cui scontrarsi per “risolvere” l’intreccio. Ecco dunque che Naufragio diventa una metafora stessa, non tanto (o non solo) del cinema, quanto (anche) del “racconto”. Cosa che giustificherebbe, tra l’altro, l’atmosfera straniante che si respira lungo il corso del film.
La regia di Aguilera si è fatta più sottile e personale rispetto al precendente La influencia. La costruzione del tessuto visivo è attenta nel rispecchiare il mondo di Robinson: la visione è come filtrata da una soggettivizzazione dei quadri, che non mancano sovente di “vibrare” per restituire la tensione emotiva del protagonista stesso. Il sonoro, sempre in primo piano, amplifica questo cinema tutto sensoriale vicino a registi come Bruno Dumont e Carlos Reygadas. Due registi non casuali, ma importanti per comprendere – almeno in parte – la strada che Aguilera, con Naufragio, vuole percorrere. Due autori accomunati da un interesse per un cinema di sensazioni, finalizzato ad una sorta di trascendenza di tipo spirituale, sottolineata, spesso, dalle tematiche stesse affrontate dai film. Con Naufragio Aguilera anticipa, per così dire, il Dumont di Hors Satan costruendo un film che si poggia principalmente su di una figura messianica che è, a tutti gli effetti, “al di là del bene e del male”: un nuovo Zarathustra – come lo sarà Le Gars -, che attrae inspiegabilmente chi gli sta attorno.
A missione compiuta, Robinson scompare nell’oscurità. Torna ad essere un’ombra, seguendo un fuoco fatuo in fondo ad una caverna. Che sia anche questa una sottile metafora del mezzo cinematografico e del racconto? Che il nostro protagonista, una volta conclusa la storia, ritorni ad essere solo un fantasma, solo più una “possibilità” di una storia? Questo non lo sappiamo: possiamo solo immaginarlo.

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