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La influencia

Regia di Pedro Aguilera vedi scheda film

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La recensione su La influencia

di Peppe Comune
8 stelle

La signora Rivera (Paloma Morales) ha negozio di fornitura per estetisti e parrucchieri e vive da sola insieme ai due figli, la prima (Jimena Jimenez) che è appena un’adolescente e il più piccolo (Romeo Manzanedo) che frequenta ancora le elementari. Gli affari non vanno più bene perché i clienti che entrano nel negozio sono sempre di meno. I debiti per l’affitto del negozio si accumulano di mese in mese, così come le rette mensili per la scuola privata dei figli. Il declino della donna è lento ma inesorabile, la forza per reagire all’incedere della depressione gli manca totalmente. Si chiude in un forzato immobilismo, lasciando che i figli si prendano cura della casa e si organizzino da soli per tirare avanti.

 

Paloma Morales, Jimena Jiménez

La influencia (2007): Paloma Morales, Jimena Jiménez

 

 

“La influencia” è il film che segna l’esordio alla regia dello spagnolo Pedro Aguilera, che in precedenza è stato aiuto regista di Carlos Reygadas per “Battaglia dal cielo”. Diciamo subito che di Reygadas conserva l’uso della musica “classicheggiante” che di tanto in tanto arriva ad inondare la scena e la tendenza ad attardare i movimenti della macchina da presa (perlopiù fissi) rispetto allo svolgersi dell’azione. Per il resto, siamo catapultati in altri luoghi e in diverse atmosfere, lontani dalle implicazioni metitabonde intrise di simbolismi vari dell’autore messicano e più vicini a quel tema stringente del “male di vivere” che emerge da tanto cinema contemporaneo di estrazione soprattutto europea (Micheal Haneke, Yorgos Lanthimos, Ulrich Seidl)

“La influencia” è la storia di una crisi profonda colta al culmine della sua più acuta fase depressiva. Dei lunghi piani sequenza ed un uso molto parco del parlato mettono al centro della scena il corpo vestito di rassegnazione della signora Rivera, il suo muoversi con sempre più svogliatezza e meno voglia di affrontare il domani. Della vita della donna nulla ci viene detto, il prima e il dopo rimangono oggetti sconosciuti. A Pedro Aguilera interessa il qui e ora della signora Rivera, che è un lento e progressivo sprofondare verso l’abisso, dentro una vita che non si vuole più vivere, incontro alla ferma volontà di volersi assentare da tutto e da tutti. Significativo è il contrasto tra la donna e i figli, e non tanto con riferimento all’umore (ovviamente) diverso che caratterizza le rispettive esistenze, ma riguardo al differente andamento che assumono rispetto alla vita, assente e apatico quello della madre, vitale e concentrato sul da farsi quello dei figli. I ruoli si ribaltano e a un primo momento caratterizzato dalla corrosione di equilibri consolidati a causa delle sopraggiunte difficoltà economiche, ne segue un altro dove l’inoperosità della madre esige delle contromisure decise da parte dei figli. La macchina da presa inizia a pedinare loro con sempre più insistenza, la casa (anche simbolicamente) diventa il luogo di confine tra una cosa lasciata in malora e un posto a cui riconsegnare un decoro : tra l’immobilismo rassegnato e la volontà di non sprofondare tutti.   

 Come già accennato, Pedro Aguilera non ci dice nulla della signora Rivera, ne come sia arrivata ad avere un atteggiamento così passivo nei confronti della vita ne perché non intenda affatto reagire. Ma si sa, al cinema quello che non viene detto esplicitamente può sempre essere sottinteso attraverso la dialettica tra campo e fuori campo, tra ciò che ci viene mostrato dalla macchina da presa e quello che, invece, viene solo evocato attraverso segni indiziari più o meno evidenti. In quest’ottica, credo si possa ricavare anche una matrice più ampia del male di vivere che sta affliggendo la signora Rivera. Possiamo dire che quella della donna è una crisi personale che (evidentemente) si lega ad una crisi di sistema, perché, se si ha un bel negozio di cosmetici, ampio e ben fornito, in cui non entra più nessun cliente e non ci si può più permettere di tenere i figli in un esclusivo istituto privato, vuol dire che il passaggio tra il passarsela bene e il passarsela male (economicamente) è stato così fulmineo e radicale che è difficile, non solo trovare le contromisure adeguate per resistere a tale onda d’urto, ma anche chi è più tenuto a doverlo fare. A supporto ci viene lo stesso titolo del fil. Infatti, l’influenza a cui si fa riferimento è quella che può essere generata dai tentacoli multiformi della crisi economica, una malattia che può contagiare chiunque non ce la fa a tenere il passo delle aspettative prodotte dai condizionamenti sociali, a conformarsi a tempo con i continui cambiamenti di scenario. Per combatterla non esistono medicine specifiche, ma solo un carattere forte disposto a battagliare ogni giorno per difendere la propria dignità contro un sistema di cose che vuole ricacciarti nelle retrovie. Altrimenti, il baratro della depressione è vicino, come la convinzione indotta che ogni inadempienza economica è esclusivamente il frutto di un proprio fallimento personale. Ogni medicina genera solo la falsa persuasione che è il corpo che va curato perché sta rallentando il suo ritmo vitale (e non sarà un caso che il film inizia all’interno di una farmacia e che in essa la signora Rivera abborda un uomo per un fugace amplesso sessuale), quando invece è la mente che in maniera più o meno inconscia si rifiuta di rimettersi in gareggiata, di affrontare senza timori la salite della vita. Proprio a proposito di salite, l’unica volta in cui si vedono madre e figli avvolti in momenti di spensierata complicità è quando tentano di salire di corsa una cima innevata. Una sequenza in bianco che stempera il grigiore che avvolge e coinvolge l’intera storia, una sorta di messaggio “nella bottiglia” lanciato dalla madre ai figli : da chi chiede essere aiutata per risalire la china. Un bel film, asciutto e dolente.           

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