Regia di Spike Jonze vedi scheda film
Un uomo si innamora del suo computer.
Nella locandina c'è Nigel Mansell, il grande Nigel Mansell con la tuta della Ferrari. Logico aspettarsi un film sulle corse automobilistiche. Invece è il quarto lungometraggio di Spike Jonze, non c'entra nulla con la Formula 1 ed è sicuramente il suo lavoro peggiore fino a questo punto della carriera. Autore - anche in questo caso, in quanto unico sceneggiatore - di storie kafkiane, autoreferenziali, inquietanti, cervellotiche (Il ladro di orchidee, Essere John Malkovich), Jonze decide in Lei di parlare della solitudine egomaniacale dell'uomo contemporaneo, ridotto a merce perfino sul piano dei sentimenti, strumentalizzato da una tecnologia che riesce a sfruttarlo anche come consumatore di emozioni, sesso naturalmente incluso. Theodore è un personaggio più piatto di uno schermo ultramoderno, un protagonista del tutto insapore e incolore se non fosse per la scelta di Joaquin Phoenix come interprete: si può dire? Antipatico. E somiglia terribilmente a Mansell inguainato nella tuta da GP, in quella sciagurata locandina: al di là dell'ironia, una soluzione esteticamente davvero riprovevole. Nell'originale c'era la voce di Scarlett Johansson come 'effetto speciale', in Italia ci rifacciamo con quella - adeguatamente conturbante e prossima all'afonia - di Micaela Ramazzotti; ma i motivi di interesse per la visione terminano con queste parole. Anche perchè Lei dura due ore tonde, nelle quali il ritmo è bolso e la narrazione procede in modo piuttosto prevedibile attraverso sviluppi da fantascienza obsoleta (quante volte è già stato trattato il tema del robot capace di provare sentimenti? e quante altre abbiamo già visto il canovaccio dell'uomo che si innamora del computer?) fino a una conclusione lacrimevole in maniera indisponente, senza una vera necessità. L'Academy ha ritenuto indispensabile l'Oscar per questa sceneggiatura. 3/10.
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