Chi ha detto che le rom-com sono in crisi? Basta aggiornarsi ai tempi che corrono, alle nuove tecnologie, al "social man 2.0", paradosso vivente che coniuga egocentrismo e culto delle relazioni, ed ecco che i risultati arrivano. "Her" è uno dei più bei film sentimentali di tutti i tempi, una love-story leggera e profonda come solo il grande cinema ha saputo raccontare e (soprattutto) "far sentire". Passa per film di fantascienza, del filone "intelligenza artificiale". Niente di originale, di per sè, anche perchè oramai la realtà sta quasi superando l'immaginazione, e la Los Angeles in cui si muove Theo (un Joaquin Phoenix immenso, sempre più vicino alla qualifica di maggior attore statunitense dell'ultimo decennio) è probabilmente ciò che vedremo fra pochissimi anni: il mondo di "Her" è facilmente scambiabile per il nostro presente, in cui individui sempre più solitari si muovono in spazi pubblici con il capo chino sul loro i-Phone e con l'auricolare, parlando con qualcuno che non è fisicamente presente.
Jonze, autore di una bellissima dettagliata, complessa, avvincente, funzionale sceneggiatura (splendidi certi dialoghi, per il modo trasparente ed accorato con cui esprimono i pensieri più intimi dei personaggi), e regista empatico, sensibile, ammirevole nell'assegnare al film un omogeneo tono dolce-amaro, compie una sorta di upgrade della realtà attuale, rendendo i videogiochi degli ologrammi interattivi, aumentando di poco l'irrealismo cromatico delle scenografie e soprattutto facendo fare all'intelligenza artificiale quel salto evolutivo (non solo le scimmie, ma anche le macchine possono subire l'influsso del Monolite?!) grazie al quale non rimane soltanto un sofisticato insieme di complessi algoritmi predefiniti, ma un soggetto dotato di intuito e capace di crescere, maturare, cambiare grazie ad una cosa: l'esperienza. E' questa la parola chiave: Samantha, la fidanzata artificiale ed incorporea di Theo, è un sistema operativo "dinamico", un'entità dotata di una coscienza che muta col tempo e con i rapporti interpersonali, con la scoperta graduale del mondo che la circonda. E' una intuizione geniale di Jonze, che ne fa dunque un personaggio vero e proprio, della medesima consistenza dei soggetti in carne ed ossa.
Questa trovata contribuisce in maniera determinante a fare del film la prima commedia/dramma sentimentale dell'era post-umana. Quando, fra non molto, i computer e la Rete diventeranno pròtesi della carne e della mente umana, si citerà probabilmente "Her" come precursore del nuovo cinema romantico, ossia il primo film d'amore a mettere un sistema operativo sullo stesso piano di un essere umano. Certo, non che i due piccioncini non si pongano il problema dell'assenza di un corpo per Samantha! Naturalmente "Her" è anche una disquisizione sul concetto di identità labile, di presenza fisica contrapposta a quella virtuale, di fallibilità della macchina etc...ma queste cose non lo distinguono più di tanto dal resto del cinema fantascientifico. Il cuore del film infatti è altrove: Theo e Samantha fanno conoscenza, simpatizzano, si confidano, si cercano, come due amanti qualsiasi; poi si innamorano, ridono, piangono, si frequentano, fanno l'amore, come due amanti qualsiasi; si presentano ai rispettivi amici e conoscenti (per Samantha, un gruppo di "coscienze artificiali"), vanno in vacanza insieme, come due amanti qualsiasi; infine vanno in crisi, conoscono altra gente, fanno nuove esperienze, si distaccano, si lasciano, come due amanti qualsiasi. In una rom-com normale, come nella realtà di ognuno di noi, capita che una storia finisca poichè, col passare del tempo, col progredire della relazione, con la suddetta "esperienza", uno dei due partner fatalmente CAMBIA, conosce altra gente, sente il bisogno di nuovi stimoli etc...Nè più nè meno di quello che succede fra Theo e Samantha.
L'aver normalizzato ciò che parrebbe assurdo è il principale merito di Jonze, in un film che riesce ad essere filosofico senza essere cerebrale, commovente senza essere forzato. Certo, è un film nudo, "a cuore aperto", finanche sdolcinato, ma è giusto così: è pur sempre un film sentimentale, con due protagonisti innamorati. Ma ci sono anche altri pregi: dalle figure di contorno (tutte azzeccate) alla professione di Theo (un prestatore di emozioni a coppie sconosciute, espresse tramite lettere), dall'esperimento sessuale con un corpo in prestito (sequenza straniante, ricca di spunti) alla fluidità del montaggio nei momenti in cui Theo ricorda la ex moglie. Poi ci sono un paio di scene che si distinguono fra le tante, una evidente, l'altra un po' meno. La prima è ovviamente quella del rapporto sessuale fra Theo e Samantha, risolto con uno schermo nero (opposto a quello bianco di kieslowski-ana memoria), che significa "tutto" e "niente"; all'orgasmo, Samantha esclama "Ti sento dappertutto": questa iper-sensibilità ubiqua, questa dispersione del piacere oltre la sfera corporea, sottolineata da un soundscore struggente, non ha nulla di grottesco, qualificandosi invece come uno dei momenti di cinema più teorici e più radicali degli ultimi tempi, almeno in un film mainstream. La seconda è invece il momento in cui la figlioccia di Theo parla con Samantha e si chiede come mai Lei non abbia un corpo: c'è tutta l'infantile meraviglia di una "nativa post-umana", prodroma di un futuro in cui la smaterializzazione del sentimento sarà un fatto comune.
In definitiva, "Her" è un film amaro, triste, malinconico, in cui ciascuno di noi può ripercorrere il suo vissuto. Ma è anche un ottimistico sguardo su un futuro in cui i sensi si confonderanno (la sinestesia proposta da Samantha, che concepisce un brano al pianoforte come se fosse una fotografia), in cui l'amore non sarà più qualcosa di esclusivo, ma qualcosa di condiviso (come oggi lo sono il Sapere e le immagini, su internet). Senza per questo essere più fragile: sarà anzi più potente. Come se l'utopia hippie degli anni 60, quella dell'amore libero e assoluto, potesse essere finalmente resa possibile da una intelligenza così sviluppata da accrescere le emozioni e il desiderio, fino al punto di potersi innamorare di più entità. E allora, lo sguardo sconvolto di Theo in metropolitana, dopo la confessione di Samantha, mentre scorge altre persone dialogare presumibilmente con Lei, non va inteso come reazione ad un tradimento, ma come comprensibile spaesamento di fronte ad una imminente rivoluzione dei sentimenti.
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