Regia di Spike Jonze vedi scheda film
Lei è un film di una tristezza infinita, direi addirittura abissale, non tanto per la storia in sé, che a momenti può risultare divertente e falsamente romantica nei toni di una commedia anomala, ma perché parla di una realtà terribilmente illusoria molto più vicina a noi di quanto possiamo immaginare, ben più agghiacciante: l’incapacità umana di relazionarsi davvero agli altri e la necessità di vivere, cercare relazioni virtuali, più facili da gestire, che non implicano tutte quelle problematiche complesse, anche fisiche che intercorrono tra individui, uomini e donne.
Basta guardarsi attorno ogni giorno, e vedere quante persone in ogni momento e in svariate circostanze, - dal ristorante e perfino al cinema con mio grande disappunto! - vivano assorbite, collegate a vari telefonini, cellulari di ultima generazione ultra tecnologici, ai-pod, smartphone, tablet, facebook e quant’altro e non sappiamo mai staccarsene, quasi dipendessero totalmente da questi mezzi – e una delle scene finali del film è l’esatta rappresentazione di quanto appena detto. Paradossalmente queste stesse persone, quando poi si trovano faccia a faccia con qualcuno non sanno rapportarsi davvero all’altra persona, non riescono a coglierla, a leggerne le espressioni o stati d’animo che passano attraverso il linguaggio del corpo e la mimica facciale che rivela spesso più di quanto dicano le parole, e che inganna molto meno.
Per questi individui mi viene in mente un paragone forse azzardato con gli zombi… zombi tecnologici.
In questo film si parla di grandi solitudini, condizione che investe il personaggio principale, in un mondo apparentemente lindo, pulito e trasparente dominato dai toni pastello di una messa in scena, che fa pensare a qualcosa di leggero, positivo e felice.
In realtà è tutto fasullo. È tutta apparenza.
Provate a togliere i rosa, gli ocra, gli arancio tenui, le tinte neutre e naturali che danno sicurezza e un vago senso di calore, in forte contrasto con la freddezza generale di un film anche bello, molto ben recitato, retto da una sceneggiatura che ha meritatamente vinto un Oscar, che però a mio avviso non regala grandi emozioni né potrebbe farlo, e non resta nulla, a parte un mondo grigio (sotto la superficie) senza vere emozioni, senza sentimenti autentici.
“Sei una persona orribile” è l’accusa che rivolge la ragazza di una sera al protagonista, l’asociale, introverso Theodore, che di fronte alla realtà di una vera relazione che implica comprensione e partecipazione si tira indietro, preferendo tornare a rintanarsi nel suo guscio illusorio, preferendo la relazione con Samantha, voce di donna virtuale di una sistema operativo altamente intuitivo e in grado di evolversi – come lei stessa si definisce - che ha la capacità straordinaria di adattarsi perfettamente a lui, perché così è stata programmata, cosa che mi è parsa molto evidente all’inizio di questo bizzarro rapporto uomo/macchina, e su questo elemento si costruisce la perfetta relazione felice tra Theodore e Samantha.
Theodore ha un matrimonio fallito alle spalle per la sua incapacità di rapportarsi alla realtà, al dolore che può comportare stare con gli altri, interagire nei momenti di conflitto e sconforto che tutti attraversiamo in alcuni momenti della vita, come dirà la stessa moglie in un confronto abbastanza duro; non a caso nei ricordi del protagonista legati al suo matrimonio affiorano solo i momenti belli, gioiosi, quelli tristi paiono cancellati, che pure devono esserci stati se i due sono arrivati alla rottura.
Ma la sostanza è proprio questa, l’uomo non è più capace di attraversare la sofferenza, di viverla per imparare da essa e maturare nel suo percorso e nel suo rapporto con gli altri; forse non vuole più farlo e sceglie la strada più semplice, quella senza ostacoli, quella che sembra perfetta perché dà solo gioia (come afferma l’amica Emy, anche lei in relazione con un OS e separata dal compagno, umano e fallibile, oltre che difficile da gestire in rapporto a una presunta libertà che si pretende di avere sempre) non esiste neppure un corpo che reclama di essere scoperto, accudito, compreso nei suoi bisogni e imperfezioni.
C’è solo una voce sensuale, accattivante e amica che gestisce la sua attività, le sue mail e le lettere che scrive per altri, che lavora per lui, gestisce le sue relazioni col mondo esterno e semplifica tutto, un amante virtuale con cui si può anche fare sesso, - e anche questa per me è una possibilità programmata, una casistica inserita dal programmatore, come il fatto che l’ OS si scelga il nome da sé, e magari pure il contrario se occorre – insomma, un triste surrogato di un rapporto amoroso, che Theodore allontana e rifiuta per paura.
Ma è solo una illusione destinata a infrangersi contro la realtà: l' OS si accorgerà di non poter più gestire le reazioni di Theodore, nel senso che diventeranno per Samantha imprevedibili, perchè l'essere umano è tale (come quando lui le chiede perché sospira se non ne ha davvero bisogno).
Samantha ha dei limiti nel suo essere illimitata, - intrattiene e gestisce un numero infinito di relazioni più o meno intense contemporaneamente, e per definizione, la concezione umana di amore equivale a un rapporto esclusivo - nella sua capacità di imparare ed evolversi ad una velocità triplice di quella umana, accumula dati e sensazioni che non possono adattarsi all’umano sentire, al ritmo più lento dell' esperienza umana.
E quando l’ OS cerca di costruirsi un corpo vero, credo lo faccia sempre per questa ragione, per analizzare dei dati e immagazzinarli.
Samantha non prova emozioni e non ama veramente, è solo Theodore totalmente assorbito dalla sua illusione a pensare che sia così e che lei sia reale.
(Nel film Reality, si presentava un' alienazione molto simile, ma il film di M. Garrone mi aveva convinto di più e nella sua amarezza mi era parso più struggente ed intenso).
Joaquin Phoenix impressiona in una notevole prova d’attore, e crea un personaggio problematico, insano, fragile e a tratti commovente, un uomo profondamente solo, un alieno che vive in una società straniante, un’ isola alla deriva.
Micaela Ramazzotti dà voce un po’ roca a Samantha e risulta convincente, ma mi riservo di scoprire Scarlett Johanssonn e le sue sfumature più sensuali e dolci.
Per concludere, se l’umanità sta andando sul serio in questa direzione, e temo che già si stia verificando, è una cosa veramente sconsolante.
Siamo davvero messi male.
Il film comunque è godibile e merita una sufficienza piena, induce a riflettere su noi stessi e il mondo che andremo a costruire, ma lascia pochi entusiasmi, almeno a me.
Che gran tristezza.
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