Regia di Spike Jonze vedi scheda film
Guardarsi dentro.
Scavare nelle profondità del proprio io, capiente bagaglio emozionale di un’intera vita. Archivio smisurato di volti-corpi-anime incrociati, desiderati, conosciuti, amati, perduti.
Farsi travolgere dal violento flusso dei ricordi, ridotti in pezzi come schegge affilate di un felice lontano passato, a penetrare profonde nella carne, a lasciarla irrimediabilmente sanguinare. Raccontarsi/rimuginare su quel che è stato; svolgere e riavvolgere gli eventi all’infinito, come con un nastro di una vecchia vhs. Insistere sugli stessi perenni punti oscuri, che hanno trasformato il dolore in ossessione. E l’ossessione in impossibilità di vivere il presente.
Chiusi in una bolla d’aria. Dentro il mondo ma fuori dal mondo.
Dire, fare, baciare (anche), ma il gusto pieno della vita è una foto dai bordi ingialliti.
Cosa resta se non il vuoto, pesante e soffocante.
I giorni tutti uguali.
Da soli con la propria solitudine, ripiegati su se stessi, a sostenere il pesante fardello di un’esistenza surrogato.
Una volta era il padre spirituale ad occuparsi delle anime smarrite e confuse.
O un amico -un vero amico-, l’interlocutore perfetto per dar libero sfogo ai flagellanti tormenti dell’anima.
Anche le sedute d’analisi hanno offerto il loro importante contributo alla causa.
Oggi, l’ingerenza massiccia della tecnologia nelle nostre vite, tale da condizionare e perfino mutare anche le abitudini più radicate, ha messo a punto un sofisticato sistema operativo per pc, atto a guarire le ferite dell’anima.
Vero e proprio prodigio della scienza: una macchina intelligente, perfetta quanto l’uomo se possedesse, oltre alla parola e all’anima, un corpo.
È come l’amico immaginario che ci accompagna nella nostra prima infanzia.
Come uno specchio che riflette la nostra immagine.
È la coscienza. La nostra coscienza.
Guardarsi dentro.
Riuscire finalmente a farlo.
Affrontare il dolore lacerante. Rompere l’inerzia. Uscire dal pantano immobilizzante.
Lei è il delicato racconto di un’anima alla deriva sentimentale. Di cui osserviamo, in punta di piedi, il lavoro d’introspezione fatto mediante la stravagante relazione con questa umanissima voce artificiale, proiezione del bisogno di raccoglimento delle proprie emozioni e dei propri pensieri.
L’esigenza di mettere ordine. Fare chiarezza dentro se stessi.
“Sentirsi” davvero per la prima volta.
È l’elaborazione intimissima di una perdita.
È il lento risveglio di un diverso domani, tra i colori pastello di un’alba metropolitana.
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