Regia di Nat Faxon, Jim Rash vedi scheda film
Esordio alla regia per Nat Faxon e Jim Rash, già attori comprimari e soprattutto sceneggiatori con un Oscar sul mobiletto di casa per “Paradiso amaro” (2011), che mettono nelle descrizioni dei vari “luoghi” ed animi un tocco di sincera onestà.
Non sarà il film della vita, ma è comunque incoraggiante.
L’estate non promette niente di piacevole per il giovane Duncan (Liam James), obbligato a trascorrerla con la madre Pam (Toni Collette) e soprattutto il suo compagno Trent (Steve Carell) che lo pungola a ripetizione.
Le prime avvisaglie sul posto non sono incoraggianti, ma poi conosce lo strampalato Owen (Sam Rockwell) e gli si apriranno nuovi orizzonti.
Non potranno durare per sempre, ma sarà comunque un (nuovo) inizio.
Classico film di formazione che vive dei suoi personaggi e quindi dei suoi interpreti più che di avvenimenti inenarrabili, che poi in pratica non avvengono mai.
Ci pervade con un velo di nostalgia, con un’estate, e tutti ne abbiamo avuta una, particolare, quella che doveva proporre la solita noia, vissuta nelle retrovie tra vessazioni varie e che invece porta ad una nuova conoscenza di se stessi accettando quindi di incominciare un proprio percorso a lungo termine.
Il parco acquatico Water Wizz e le modalità con le quali viene raccontata la vita al suo interno sono l’aspetto più interessante dell’opera, quasi un posto nel quale l’orologio del tempo scandisce ritmi differenti che trovano negli atteggiamenti di Owen il loro mantra.
Un agglomerato di personaggi distanti dagli altri, quasi un paradiso nerd in netta contrapposizione con ciò che si sviluppa all’esterno, con una netta diversità di comprensione e di atteggiamenti.
Così che Sam Rockwell e Steve Carell, due attori di primaria grandezza, del primo lo sappiamo da sempre, del secondo stiamo imparando a capirlo, lavorano su contrapposte lunghezze d’onda, in fondo già loro danno due fotografie lampanti dello status generale ed anche il resto dell’ampio cast contribuisce alla raffigurazione dell’insieme, a partire da Allison Janney, che all’inizio mette in chiaro le cose, e Toni Collette alle prese con una donna che vive nell’insoddisfazione (come più volte le è capitato altrove).
Un racconto piacevole che sa perfettamente dove andare a parare e che per questo può apparire anche troppo furbo, in realtà mi sembra prima di tutto sincero e quasi riluttante ad accettare a cuor leggero le bruttezze del mondo senza scordarsi dell’umorismo che è sempre un’arma vincente.
Nel suo piccolo lascia un segno.
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