Regia di Simon Barrett, Adam Wingard, Eduardo Sánchez, Gregg Hale, Timo Tjahjanto, Gareth Huw Evans, Jason Eisener vedi scheda film
Riuscitissimo sequel di quel curioso fenomeno che fu il primo V/H/S.
Gli episodi stavolta sono quattro e il loro avvio deriva dallo stesso pretesto del precedente film, che vede i protagonisti visionare occulte e misteriose videocassette dopo aver fatto irruzione in casa altrui. Se le tematiche del primo capitolo giravano attorno al sesso e la struttura basilare era ancora in parte legata ai recenti “Paranormal Activity”, qui si cambia completamente rotta e (per quanto possa sembrare stupefacente) si osa ancora di più. Tanto è vero che alla materia ludica che sta alla base del mockumentary vengono aggiornati zombie e alieni.
Non è un capolavoro, così come non lo fu neanche l’altro, e questo a causa di un episodio che fa leggermente calare l’esito complessivo, ovvero il primo, fortemente debitore de “Il sesto senso” e troppo spesso prevedibile nelle improvvise comparse dei fantasmi davanti alla telecamera, puntualmente accompagnate dalle solite impennate di volume.
L’ultimo episodio inerente l’invasione aliena (che tanto assomiglia a un alter ego sci-fi di “The Blair Witch Project”) non sfrutta poi tutte le proprie potenzialità, ma va bene così, e in ogni caso vale mille volte di più il suo quarto d’ora che non tutto “Il quarto tipo” (2009).
Dove la pellicola tocca vette inaudite è nei due episodi centrali. Vi è quello degli zombie, scioccante delirio ultraviolento, crudo ai limiti del sopportabile, trovata sperimentale che tenta a suo modo di rinnovare quel genere di cui il grande Romero è pioniere. E proprio a Lui pensiamo noi cinefili quando, in un barlume di coscienza, il protagonista trasformatosi in un non-morto si spara alla fine un colpo in testa, proprio al grande regista americano che aveva dotato le sue creature di quel discernimento che, a conti fatti, li rendeva “umani”: vale di più questo breve episodio di moltissimi zombie-horror in circolazione.
Ma dove noi spettatori dovremmo alzarci per applaudire è nel terzo: allucinazione furiosa, materializzazione di paure arcane che associano l’altro mondo (il “Paradiso” oggetto di idolatria da parte del “profeta”) ad un’altra cultura, quella orientale. Angosciante e delirante, splatter e brutale, freddo e cattivo, una labirintica discesa agli inferi che lascia il segno e si fa perdonare anche l’apparizione finale di un diavolo-caprone un tantino fuori luogo.
Nel complesso la pellicola è decisamente notevole, e la sua qualità (che vale più di quella della maggior parte dei mockumentary girati fino ad oggi) rinnova l’urgenza di una sacrosanta e necessaria distribuzione nel nostro Paese.
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