Regia di Jeremy Lovering vedi scheda film
Si può portare a casa un film più che decente con tre attori in tutto, un automobile, un bosco , qualche strada che vi si addentra e un altro pugnetto di locations derelitte ma di indubbio effetto?
Se la risposta che vi viene in mente è un bel " No", allora guardate prima questo film di Jeremy Lovering, che dopo tanta televisione esordisce al cinema.
E lo fa portandosi dietro tutta la sua esperienza da documentarista: pare infatti che abbia girato questo film abbastanza a braccio, con una sceneggiatura praticamente scritta all'istante e con gli attori che sapevano pochissimo di quello che stavano per portare in scena, per aumentare la loro spontaneità.
Poi un grosso lavoro di limatura in post produzione ed ecco 90 minuti scarsi in cui tutte le peggiori fobie verranno inesorabilmente fuori.
Anche perché trovarsi con l'auto in un posto non particolarmente accogliente come un bosco in mezzo alla brughiera irlandese, quindi nel bel mezzo del nulla, a girare in tondo per ore finchè arriva la notte e la benzina finisce non è una bella cosa.
E Lovering maneggia egregiamente questa paura che sicuramente infetterà chiunque alla visione.
La tensione è costruita tassello dopo tassello in un crescendo lento ma costante ed è acuita anche dal fatto che non ci troviamo di fronte a una coppia consolidata ma a due persone che a malapena si conoscono e che si stanno frequentando da poco, con tutto l'armamentario di ambiguità che si porta dietro la loro relazione.
E non è un caso che quando il terzo personaggio chiede loro se sono una coppia, lei risponda di no e lui che voleva rispondere diversamente non capisce ma si adegua.
Quindi oltre a perdersi nella brughiera , ci si perde anche assieme a una persona che si conosce a malapena.
Lucy va subito in paranoia mentre Tom, che è più in paranoia di lei, cerca di fare l'uomo della situazione tentando di disinnescare tutte le paure che inesorabilmente stanno montando anche dentro di lui.
Poi abbiamo l'introduzione del catalizzatore delle paure di entrambi: l'introduzione di un terzo personaggio, Max, che fa capire esattamente quello che sta succedendo.
E' un duello prima dialettico e poi via via sempre meno metaforico il loro che fa arrivare il film ad un finale con un grosso punto interrogativo.
Se nella prima parte In Fear è un thriller horror in cui tensione e originalità vanno a braccetto, altrettanto non si può dire della seconda parte.
La tensione c'è sempre e si taglia con il machete, l'originalità viene un po' meno perchè si oscilla pericolosamente tra The Hitcher e Wrong Turn , passando per tutti gli intermedi di due film tra di loro lontanissimi.
Eppure Lovering ha stoffa e pur chiudendo il film in modo che più aperto non si può ( anche se a prima vista non è così, ma è una di quelle situazioni in cui si può modificare tutto in un nanosecondo), come già detto prima , riesce a portare a casa il risultato perchè costruisce bene i due protagonisti e li rende di una normalità che diventa subito inquietante e proprio per questo scatta l'immedesimazione e con essa la paura....
In Fear è potente e adrenalinico con delle sequenze che veramente fanno saltare sulla sedia.
Riesce a scartabellare tra le fobie di chi è al di qua dello schermo come raramente succede al cinema.
E credo che lo scopo ultimo di Lovering fosse proprio questo....
(bradipofilms.blogspot.it)
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