Il tema della difficile convivenza tra comunità musulmane e società occidentali nelle grandi città europee non è certo nuovo, ma sono finiti i tempi in cui se ne poteva parlare con toni da commedia, come in “East is East” (1999) di Daniel O’Donnell o “Chaos” (2001) di Coline Serreau, tanto per fare i primi due esempi che mi vengono in mente. Il “noir” del titolo si riferisce al velo islamico che la giovane protagonista si toglie ogni giorno nella toilette di un bistrot, prima di recarsi al lavoro. Si chiama Cobra e vive una doppia vita: quella della brava ragazza musulmana in famiglia e quella di una ragazza qualsiasi, con il suo lavoro e i suoi rapporti interpersonali, nella società parigina. L’equilibrio è precario e lo spettatore ha ben presto la sensazione che la vicenda avrà un esito tragico, anche perché la storia è raccontata in flashback dal padre di Cobra che dichiara “Non avrei mai dovuto lasciare la mia terra”. Il regista e sceneggiatore di origini iraniane Jacques Bral, autore che centellina i suoi titoli ad anni di distanza (solo 6 in quattro decenni), realizza un film vivace nella narrazione e nella scelta dei tempi, sostenuto da una eccellente prova da parte degli attori. Ogni personaggio è quasi risucchiato dalla propria cultura di appartenenza nei momenti delle scelte più drammatiche, come nella vita di tutti i giorni. Si parla della difficoltà dei matrimoni e delle unioni interrazziali, ma anche di velo, di capelli, di alcool, di piccole abitudini degli uni e degli altri. Il tutto lascia molto amaro in bocca. Il film è molto pessimistico, quasi algido nella sua lucida descrizione, che non prefigura alcuna via d’uscita. Purtroppo, la colonna sonora è pessima: non riesce a scegliere tra classica musica da film moderno occidentale e musica arabeggiante. Una cacofonia impressionante, ma è un peccato veniale, perché la vicenda si segue con interesse dall’inizio alla fine.
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