Regia di Peter Howitt vedi scheda film
“Un ragionevole dubbio” (Reasonable Doubt, 2014) è il sesto lungometraggio del regista di Manchester Peter Howitt.
Il gioco del doppio corso di un animo inquieto (nel giusto) si perde dopo quaranta minuti di film (uno in più o in meno non cambia nulla) con la ripresa in flash-back nel luogo dell’incidente da altra angolatura pensando di essere inquadrato e di inquadrare. Il movente è sempre doppio (se non oltre) ma il ragionevole dubbio (semplificato e senza vero pathos) si perde tra i rivoli scontati di un film che parte anche bene, menziona un facile rituale familiare e poi si perde in combinazioni di linguaggi fin troppo suggestivi (nel senso improbabili), logori, pasticciati e con un finale (ultimo minuto secco) da rabbrividire (inutile e spudoratamente accogliente). Un taglio netto ne avrebbe guadagnato (sicuramente) in una seconda parte accartocciata e salomonicamente afrettata.
Peter Howitt si firma con pseudonimo (nefasta idea o idea copiata) di un certo Peter P. Croudins...: mesto compiacimento o dismisura allegorica di un film alquanto impiacente (al regista in primis). Chi sa… In ogni caso il ‘sliding doors’ va muovere poco lo schema dei gusti di entrata e di uscita in un contro-scontro giornaliero ordinario e in un incidente che sminuisce il lavoro di scrittura da quell’istante in poi. Ti aspetti chi sa che cosa…ma invece. E oggi va di moda (termine improprio ma fruibile) l’autoredenzione ad ogni costo…e il personaggio ligio, cervello e casilingo diventa scorbutico, scontroso, investigatore, virile (al punto giusto) e (forzatamente) eroe a tutti i costi. E così ciò che si contrappone tra legge e giustizia è l’evidente snaturamento di un uomo che sbandiera la gloria (personale) per salvare soprattutto se stesso e la sua famiglia. E gloria anche al ftratello(astro) che prima scappa e poi ci ripensa (subito…e qui la cosa è evidentemente troppo breve che rende una minima tensione risibile e alquanto fiacca…). Certo è che qualcosa succede ma d’altronde non siamo proprio allo sfascio. Qualche bella immagine, qualche indovinata scena e un giusto allarme per creare una certa attesa e un resoconto finale alquanto (però) prevedibile.
Mitch è uno di quei procuratori che non perde mai ed ecco che la sua vita cambia (un po’) dopo una serata di bevuta con amici (incravattati). Torna a casa in auto ma in una strada di seconda mano si trova a mettere sotto un uomo. Una telefonata al 991, un omissione di soccorso, una corsa a casa, un cervello in tilt…ma il bello è che qualcuno l’ha visto. Il gioco sporco è utile per Clinton Davis ma ha il coltello dalla parte del manico. E tutto un indagare confuso, un aiuto del fratello (che ritorna come di botto a farsi perdonare…), un biglietto di spavento e un pc sempre disponibile. Per salvare famiglia, con moglie e neonata, e sbarazzarsi del ‘cattivo’ che spaventa tutti (Arthur Penn di schianto non dovrebbe scandalizzarsi se il ritrovo è quello di un Hackman ancora bravissimo in ‘Target’ che evidentemente vuole avere degli eredi…) con una fuga e un atterraggio in area notturna (nel giardino di casa-famiglia) come se arrivassero sempre i nostri (in questo caso il procuratore-fai-da-te che vince sempre). Domanda rituale ed inutile: come mai si chiede al nemico di avere un’altra chanche e per allungare il brodo... non si ammazza..e addirittura gli si fa incontro allungandogli la pistola? Certo è…che il colpo arriva alle spalle e il buon cuore eroico di Mitch è salvo. Lo stile è sempre quello e il gioco è pur sempre apprezzabile (anche se visto a decine di volte). Ma perché aggiungere l’ultimo minuto? ….ordinario girato col fratellastro sfacciatissimo che ritorna…in vita per farsi chiedere la classica domanda ‘come stai?’. Bene…forza…entriamo…in casa…che…il film…deve finire... altrimenti il pubblico (poco in realtà) si spazientisce oltre il dovuto (che è già oltre….).
Il genere legale è sempre appetibile ma scrivere qualcosa che crei il nuovo non è affatto semplice e per di più l’attesa (in questi casi) deve essere di vera suspence.. senza per forza creare eccessi narrativi o deviazioni illogiche con rattoppi (quando servono). E tutto va all’aria. E va da se che i volti degli attori devono essere molto convicenti. Mentre Samuel L. Jackson (Clinton Davis) fa il suo compito bene (rispetto ad una scrittura non delle migliori), Dominic Cooper (nel ruolo di Mitch) non è (enfaticamente) convincente, arranca nei migliori dei modi ma sia ha la sensazione che il suo volto non è ‘completo’ nella riuscita del personaggio o meglio ancora è il personaggio che forse s’allontana da un volto attoriale che non ci crede fino in fondo. E ciò crea la sensazione di un film alquanto ‘insipido’ e ‘non sicuro di sé’. La regia fa quel che pensa ma evidentemte il pensiero (bugiardo) ha le gambe corte e lo spettatore se ne accorge e lascia la sala mediocremente soddisfatto e (in)sufficientemente scemo(ato) di una storia ‘mobile’ senza porte da richiudere. Doors da oliare per bene (come quella del garage…vero Mitch…).
Un ragionevole dubbio (molto conciso e alquanto dimostrato) è quello di un’idea esile e fragile che si scioglie in un barlume di pellicola che appassisce senza odore in un turgido inverno con luci colorate accesse per la festa (di famiglia).
La regia di Peter Howitt ordinaria con qualche lampo di cinema.
Voto 5+.
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