Regia di Roberto Andò vedi scheda film
Quasi senza preavviso o spot pubblicitario, approfittando di quell’onda elettorale ormai agli ultimi scampoli che travolge animi e scalda umori nel vivo di una battaglia che come o più di ogni altra volta lascia trapelare il peggio di una classe politica avida di potere e prodiga di false speranze, e, almeno in parte, ambasciatrice di promesse assurde che in un paese normale dovrebbero affossarla e invece la riportano agli onori del consenso, è arrivato nelle sale zitto zitto il film di una crisi esistenziale. Ma non quella di un uomo qualunque, bensì quella che piomba addosso al politico italiano di punta dell’ipotetico cambiamento: il leader di quella eterna opposizione di sinistra da tempo relegata o imbalsamata al ruolo di chi sta a guardare e a criticare senza riuscire a farsi rieleggere.
Enrico Olivieri è un politico che scappa da tutto e da tutti dopo una dura contestazione ricevuta in occasione di uno dei tanti comizi; fugge e si rifugia presso una amante di gioventù, da tempo residente in Francia. Al fido segretario Andrea Bottini (un Valerio Mastandrea misuratissimo e sottotono come richiede il ruolo), che per un soffio riesce a tener segreto l'avvenimento, non resta che giocarsi l’unica carta a disposizione: continuare a tacere della scomparsa e sostituire il politico col fratello gemello praticamente identico, Giovanni, professore coltissimo in congedo perché reduce da un ricovero in una clinica psichiatrica in seguito ad un grave esaurimento.
Il risultato di questo machiavellico scambio di ruoli va al di là di ogni più rosea previsione, tanto che la (nuova) figura del politico, contestata in più occasioni (bellissima la parte iniziale col breve ruolo della contestatrice affidato alla splendida Lucia Mascino, un’attrice che mi piace davvero tanto e che seguo con interesse dai tempi del bellissimo intenso "Un altro pianeta" di Tummolini) recupera rapidamente consensi sempre più entusiastici grazie ad una nuova inedita e bizzarra verve, a citazioni colte ma nel contempo pertinenti e strappa consensi da parte del nuovo (e improvvisato) uomo politico, che in tal modo si avvia a vincere la sfida elettorale imminente.
Dall’altro canto invece il vero politico, quello fuggito, si chiude nel rifugio di campagna della sua ex amante, che ora vive con un rispettato e noto regista orientale e lavora come scenografa nelle produzioni di quest’ultimo: sotto la protezione di quell’angelo della prima giovinezza, che peraltro aveva condiviso entrambi i fratelli portando il più debole alla follia, Olivieri ritrova nell’esperienza di una nuova dedizione alla cultura, anche fine a sé stessa, ma pure nel lavoro fisico, quel contatto schietto con la realtà che invece la politica gli aveva portato via; allo stesso tempo il fratello bipolare trova nella politica il modo migliore per esprimere quella sua follia interiore che invece ora, attribuita all'individuo inteso come politico, viene unanimemente scambiata per tattica politica geniale e strategica. Pazienza che alla fine le belle frasi del "nuovo" leader dicano poco e niente di concreto: in fondo si imbocca il percorso della ricerca del consenso nella migliore tradizione di quella affabulazione scalda consensi e tutta teorica che caratterizza la più astuta tradizione partitica italiana.
Il film, tratto da un opera letteraria che non conosco a cura dello stesso Andò, è di sconcertante attualità, ma in realtà tutto fuorché originale nel suo assunto per nulla inedito dello scambio di ruoli tra due gemelli così inquietantemente interscambiabili; anzi a ben vedere la presenza di due fratelli quasi cloni è certamente un presupposto usato molte (troppe) volte dalla commedia, italiana e non.
E se tuttavia questo doppio personaggio consente a Servillo di scaldare la sua irrefrenabile verve e le mille sfaccettature che possano dar luce a due personaggi che un finale enigmatico e tutto sommato piuttosto riuscito spinge a chiedersi se siano davvero due persone differenti o invece una unica dotata di una doppia e problematica personalità, dall'altro sorge un problema che già ci era sembrato di notare in alcune precedenti prove del celebre attore napoletano: per un attore così completo e insuperabile come Servillo è facile, se non si è registi dalla spiccata personalità come Sorrentino, Ciprì o Garrone, correre il rischio di lasciarci fagocitare da una recitazione troppo superiore o sfaccettata che finisce per annientare o comunque compromettere ogni più legittima ambizione di regia (vedi il destino delle pur valide ultime prove di Incerti, Molaioli, Cupellini), trasformando l'opera in un contorno sbiadito al cospetto del protagonista assoluto della scena, inevitabilmente troppo accentratore pur in presenza di un cast variegato e di tutto rispetto.
In tal senso allora, senza nulla togliere al re incontrastato del palcoscenico, qui moltoplicato per due, resta a mio giudizio più meritevole di nota la prova sottotono di un Mastandrea che si mantiene trattenuto e misuratissimo, indovinando l’impostazione di un personaggio che rispecchia ben noti astuti portaborse della nostra splendida, affascinante (e pulita) politica dei nostri giorni.
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