Regia di Roberto Andò vedi scheda film
E se per guidare quel manicomio che è diventato il nostro paese in questi ultimi anni, fosse necessario affidarsi alle follie di un pazzo piuttosto che alla saggezza di un neuro-psichiatra?
La domanda paradossale sembra essere alla base di questa pellicola diretta da Roberto Andò, dove partendo dalla più ovvia delle situazioni generatrici di equivoci (ovvero la possibilità per due gemelli, assolutamente identici nell'aspetto fisico, di scambiarsi i ruoli) si costruisce una vicenda talmente improbabile da diventare realistica.
Non è una conclusione in contrasto di logica, o piuttosto lo è solo in apparenza. Enrico Oliveri, leader del principale partito di opposizione (ovvero il PD, camuffato malamente e quindi riconoscibilissimo) è in piena crisi: crisi di consensi, nel partito e nel paese, che si è ribaltata in una crisi personale, portandolo alla depressione.
A un certo punto decide che la misura colma e si dà alla fuga, cercando un ritorno ai tempi felici della gioventù. Ritorno che si materializza in un lontano amore, la sempre affascinante Danielle, conosciuta e amata a Cannes venticinque anni prima, e adesso professionista nel cinema a Parigi e sposata con un celebre regista di origini giapponesi.
Mentre Danielle grazie anche alla comprensione del marito e della figlia dà ospitalità alla vecchia fiamma, a Roma scoppia il putiferio. La sparizione improvvisa ed ingiustificata del leader sembra sancire il crollo definitivo del partito, e Andrea, funzionario di partito e fedele collaboratore di Oliveri cerca disperatamente un minimo indizio che lo possa portare a scovare il rifugio del fuggitivo.
La ricerca lo porta al fratello dell'uomo politico, un filosofo con seri problemi psichiatrici (è stato a lungo ricoverato in una struttura) ma soprattutto gemello preciso preciso nei connotati.
La somiglianza però si ferma lì, perché se Enrico è un uomo alla deriva, Giovanni, attraversato da una scheggia di briosa follia sfuggita alle cure mediche, è invece un pazzoide genialissimo, che dopo aver rilasciato per un equivoco (il primo di una serie dovuta al gioco dello scambio di persona) un'intervista a un celebre giornalista si trova quasi per caso nel ruolo del fratello, spalleggiato da un riluttante ma disperato Andrea e da una perplessa cognata, mentre tutto il resto dei personaggi che ruotavano attorno ad Enrico (compagni di partito, giornalisti, oppositori e possibili alleati politici) ignaro dello scambio viene spiazzato e perfino travolto dalla personalità incontrollata del sostituto.
Viva la Libertà non è un film perfetto, i presupposti stessi sembrano non reggere ad un attento esame. In un paese, l'Italia, dove la depressione è generale, quelli meno depressi di tutti sembrano essere gli appartenenti alla classe politica, né si è mai visto un politico dimettersi per manifesta incapacità, figuriamoci darsi alla fuga.
Insomma questo Enrico Oliveri appare una figura troppo fragile e troppo sognatrice per avere una credibilità.
Eppure la vicenda funziona, ed il merito è soprattutto di uno straordinario Toni Servillo nel doppio ruolo del politico depresso e del filosofo matto (ma neanche tanto), ottimamente spalleggiato da un gruppo di validi attori a partire da Valerio Mastrandrea (Andrea) e Valeria Bruni Tedeschi (Danielle).
La narrazione è divertente, regalando momenti di autentica ilarità e al tempo stesso ponendo alcune riflessioni.
Anche se queste ultime sembrano rivolte non tanto agli spettatori, che facilmente si ritroveranno nelle parole di Giovanni, quanto a chi vorrebbe dedicarsi alla guida del Paese e non si rende conto che l'unico modo per far bene politica è cercare la realizzazione del benessere collettivo.
Il fatto che sia fondamentalmente una commedia non deve far perdere di vista il lato più “serio” di questo film, che non è affatto populistico come forse, superficialmente, può apparire.
Meno valida appare invece la parte della storia che si svolge a Parigi, dove il tentativo di descrivere i turbamenti e le angosce di un uomo in fuga dalle proprie responsabilità sembra poco incisivo e piuttosto velleitario.
Ma resta il fatto che saper far ridere facendo anche riflettere è un grande merito. O almeno lo è per me.
Giornalista: "Ma in pratica, Onorevole, l'alleanza la farete oppure no?"
Enrico/Giovanni (Toni Servillo): "Il consenso, giovanotto, è una cosa seria… non ha niente a che fare con l'alleanza, l'unica alleanza possibile oggi è con la coscienza della gente!"
Straordinario!
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