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Prossima fermata Fruitvale Station

Regia di Ryan Coogler vedi scheda film

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La recensione su Prossima fermata Fruitvale Station

di supadany
7 stelle

Scritto e diretto da Ryan Coogler, prodotto da Forest Whitaker, Prossima fermata Fruitvale Station porta al cinema una storia drammatica accaduta nel 2009 ma che, purtroppo, ricorda da vicino quanto troppo spesso assistiamo nei notiziari.

All’interno di chiari vincoli narrativi impossibili da raggirare, il regista ventisettenne originario di Oakland dimostra di avere potenziale, di saper gestire i tempi del racconto, mettendo a contatto la normalità di tutti i giorni e quella che dovrebbe essere l’eccezionalità di un evento luttuoso (che per il singolo tale rimane nel corso di una vita, vivendola un numero contenuto di volte).

È l’ultimo giorno del 2008, Oscar Grant (Michael B. Jordan) trascorre una giornata come tante altre, discutendo con Sophina (Melonie Diaz) e barcamenandosi tra affari di poco conto. Tra i possibili programmi per la serata, scelgono di andare a San Francisco utilizzando i mezzi pubblici, come consigliato dalla mamma di Oscar (Octavia Spencer). Al ritorno, il gruppo di giovani è coinvolto in una rissa che vede anche l’intervento della polizia.

 

Michael B. Jordan, Melonie Diaz

Prossima fermata Fruitvale Station (2013): Michael B. Jordan, Melonie Diaz

 

Tutto è risaputo, o quanto meno facilmente ricostruibile sbirciando in rete, ma Ryan Coogler riesce a organizzare i macroblocchi della struttura narrativa, descrivendo prima uno spicchio di famiglia e amicizia con turbolenze, poi l’occasione di festa e serenità e infine la tragedia che trascina tutto con sé.   

Epidermico e partecipativo, Prossima fermata Fruitvale station propone un riquadro umano comune, muovendosi con spirito collaborativo nelle stanze dei suoi personaggi, tra note dolenti e squarci di piacevole leggerezza.

Ciò avviene denotando una buona padronanza del mezzo espressivo, con flashback inseriti con il senno di poi, riuscendo a sottolineare al meglio proprio il tipico, quanto chiave, processo sliding doors per cui tra un treno e la possibilità di fare altro, ma anche un semplice passo o una parola differente, viene automatico pensare a quanto una fatalità possa sopraggiungere all’improvviso.

Così procedendo, viene sfruttato a proprio vantaggio l’origine da storia vera per cui come andrà a finire è cosa nota ma a quel punto il peso passa principalmente sugli sguardi, sull’importanza di taluni momenti altrimenti considerabili come facenti parte di una noiosa routine.

In realtà, la vita è un bene prezioso che va spremuto senza trascurare ogni singolo secondo e Ryan Coogler riesce, con un dispositivo basilare, a creare un ponte con il pubblico - attraverso anche l’ottimo Michael B. Jordan, la vivace Melonie Diaz e quel pezzo da novanta di Octavia Spencer - che l’ha premiato fin dalla sua prima apparizione, avvenuta al Sundance 2013, quando anche la giuria gli attribuì il Gran Premio.

Un esordio felice per l’allora ventisettenne Ryan Coogler, già pronto in rampa di lancio verso il cinema più popolare (Creed – Nato per combattere, sempre con Michael B. Jordan), una fotografia loquace di una realtà già satura a fine 2008, sempre attuale nel 2013 - anno di realizzazione del film - e che nel frattempo ha conosciuto nuove violente e dolorose impennate.

Intelligente, umano e comunicativo.

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