Regia di Ryan Coogler vedi scheda film
A.C.A.B. È il capodanno del 2009 a Oakland. Oscar (Jordan) e la sua compagna (Diaz), insieme a un gruppetto di amici, stanno per recarsi con la metropolitana a San Francisco per festeggiare. Ma durante il viaggio di ritorno scoppia una baruffa su una delle carrozze. Oscar e i suoi sodali vengono fermati dalla polizia, maltrattati. Ci scappa il colpo e anche e il morto. Sono gli ultimi venti minuti di un film-denuncia che racconta come tutto il mondo sia paese, come anche sull'altra sponda dell'oceano esistano altrettanti casi Cucchi, Uva, Aldrovandi, con l'unica differenza che in America la giustizia funziona più rapidamente che da noi. Da quelle parti, i nostri eroi della Diaz e di Bolzaneto almeno per qualche mese riuscirebbero a vedere il sole a scacchi. Ma anche negli States, a conti fatti, le pene per questi criminali in divisa sono irrisorie. Il film dell'esordiente Ryan Coogler ha un impianto assai classico e nella prima metà racconta il tentativo del nero 22enne protagonista di lasciarsi alle spalle una vita ai margini, fatta di spaccio e cattive compagnie. Il ritmo per quasi un'ora è monocorde, la vicenda di Oscar sovrapponibile alle moltissime altre storie di redenzione, ma ciò che probabilmente ha fatto presa sul pubblico del Sundance, che ha incoronato Fruitvale Station con il massimo alloro, è la potenza civica del film, che nel finale mette in scena la reale impotenza del comitato pro-Oscar per ottenere giustizia e l'impermeabilità delle istituzioni ai diritti dei neri, alla faccia di Obama. All cops are bastards.
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