Regia di Katell Quillévéré vedi scheda film
Un piccolo film “di padre ignoto”, così come il piccolo Charlie, sia perché ad essere ignota è una definizione precisa di stile (la scelta delle musiche – per giunta qualitativamente discontinue – non ne crea uno) sia perché a dirigerlo è una donna con occhio materno (come ci rivela il bel finale), Katell Quillévéré, già autrice di una serie di lavori poco conosciuti. Suzanne è Sara Forestier, ragazza molto vivace, non a caso omonima della Sandrinne Bonnaire di A nos amours di Pialat, figlia, sorella, e presto anche madre, da giovanissima, con una serie di coincidenze sfortunate ma affrontate con leggerezza che segnano per sempre la sua esistenza, da quel punto in poi fatta di alti e bassi (più bassi che alti), innamoramenti, punizioni, carceri, mostruose insoddisfazioni. La Quillévéré contempla la sua protagonista senza prendere eccessivamente posizione, affidandosi troppo alla materia narrativa piuttosto che al personaggio per dirsi davvero capace di osare, con quel piglio un po’ serioso di chi ha la “pretesa di non avere pretese”, ma, nonostante sfiori il dilettantismo, e le cadute siano presenti (travestite da risvolti narrativi superflui), il suo è un lungometraggio fatto col cuore, di chi nutre una sana curiosità nei confronti dell’essere umano, e di come il tempo lo trasfiguri nelle fattezze ma non nel carattere. Suzanne è sia bambina che adulta, da ragazzina con un bambino che si porta nei night club e da adulta a compiere ancora “marachelle” sempre più gravi e di cui non sembra neanche troppo consapevole. Lei prende la vita così come viene, con quello spirito di soave disinteresse che sembra appartenere, in parte, anche alla sorella, Maria, sguardo comunque più responsabile di quello svelto e vorace di Suzanne. Simile approccio un po’ qualunquistico agli avvenimenti, in un primo momento, non può però fare altro che essere una benda davanti agli occhi, che non la fa vedere come le sue scelte portino inesorabilmente verso una radicale distruzione di tutto ciò che ha; la passione, la curiosità, la facilità a farsi coinvolgere dagli eventi, sono tutti i motori del suo comportamento un po’ bizzarro un po’ di chi non è mai cresciuto.
È un film delicato, Suzanne, molto “français” nei toni e nelle sembianze, apparentemente antispettacolare, fatto di cose semplici ma gigantesche, e capace di sollevare dilemmi quotidiani senza inserire a forza avvenimenti o situazioni assurde. O meglio, i risvolti che stroppiano, come già detto, sono presenti, ma sono soprattutto i silenzi e le ellissi a parlare. Nonostante il debito eccessivo alla conseguenzialità cronologica degli avvenimenti, è indubbio che il montaggio conceda straordinaria fluidità, nonostante il passare degli anni, nonostante i cambiamenti, che in poche immagini si rivelano chiari senza la necessità di deformanti spiegoni. Un film dunque che sa colpire, e che avrebbe il desiderio di salvare un personaggio che si affaccia sempre più verso un autodissoluzione che non vede: totalmente opposto al cupio dissolvi, più un nescio dissolvi, ingenuo, giovane, privo di facili maledettismi.
E che lascia con più dubbi che certezze, lascia in tredici, potrebbe continuare così come avrebbe potuto concludersi prima. La domanda, ad ogni schermo nero (soprattutto davanti all’ultimo, con i titoli di coda che scorrono), è cosa sia sopravvissuto, col passare degli anni, al turbinio vitale ma inconsapevole della vita di Suzanne.
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