Regia di John Turturro vedi scheda film
Ci sarebbe da affrontare innanzitutto una questione metodologica: un film con Woody Allen diventa automaticamente un film di Woody Allen? È giusto intendere un film che vede la partecipazione, in veste esclusivamente attoriale, di cotanto autore come un film inevitabilmente influenzato dalla presenza ingombrante di cotanto autore? Ha senso un discorso di questo tipo malgrado l’effettiva prestazione dell’attore Allen, tanto misurata nell’occupare spazi fisici eppure quanto significativa nel farsi reclamare quando il suo corpo latita nel quadrilatero dello schermo? Insomma, quanto Allen c’è in questo Gigolò per caso, opera quinta dell’insigne attore John Turturro?
Ce n’è poco, al di là di qualche scelta musicale sfacciatamente alleniana, alla faccia di un certo pubblico caduto facilmente nell’inganno di credere che fosse il nuovo film di Allen (che intanto creava quel gioiello assoluto di Blue Jasmine). E in fondo non è nemmeno un film alleniano: è, piuttosto, nella sua frammentaria natura, un omaggio evocativo a certe atmosfere alleniane, dal background urbano (fotografato con pallida vitalità da Marco Pontecorvo) a qualche gags d’altri tempi (la mirabile ed assurda sequenza del processo ebraico avrebbe meritato una migliore scrittura); ma, ecco, in questo senso, non è un film ascrivibile ad Allen, impegnato in un ruolo abbastanza divertente e buffo da magnaccia per caso. Il film appartiene tutto a Turturro, alle fragilità di un autore generoso ed inevitabilmente simpatico, pervaso da un senso di inadeguatezza che diventa fatalmente empatico proprio in virtù di quel corpo così normale e di quell’animo leggiadro quanto malinconico.
L’aspetto più interessante sta proprio nel riscatto sessuale e sentimentale dell’uomo comune, né bello né brutto, capace di soddisfare tanto le voglie di arrapate ed annoiate borghesi (la clamorosa Sharon Stone e la straripante Sofia Vergara) quanto le soffocate necessità affettuose di una repressa vedova ortodossa (l’inquieta Vanessa Paradis), arrivando infine alla rinuncia volontaria del piacere sessuale e al sacrificio del piacere sentimentale in nome dell’amore. Allo stesso tempo, l’aspetto più debole della storia è proprio questo passaggio narrativo dalla fase del sesso a pagamento a quella dell’amore improvviso di due solitudini, poco equilibrato in sede di sceneggiatura (ma anche di regia) nel dosare bene l’ironia e la malinconia, la comicità e la (citata) saudade.
Alla fine della fiera, Gigolò per caso (titolo tristissimo, va detto) è una commedia amaramente romantica garbata, graziosa, gentile, certo, ma che non riesce a superare la desolante soglia del film carino, pur avendo avuto, sulla carta, la possibilità di oltrepassare agevolmente quella barriera, se solo avesse concesso qualche cosa in più al ritmo narrativo. Non è un caso che alcuni delle parti più piacevoli siano quelle affidate ad Allen, capace di dare un chiaro mood alla storia: riflessiva ma anche no, buffa ma nemmeno troppo, stravagante però perché no, cioè quella sintesi perfetta di umorismo e malinconia che ha miracolosamente messo in scena Allen da quarant’anni a questa parte. Il rispettoso allievo Turturro (evidente la gioia nei suoi occhi quando ascolta i monologhi dell’illustre spalla), pur ottimo, gli regge devotamente lo strascico.
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