Regia di Ray Manzarek vedi scheda film
«You Had to Be There» ci ricorda il cartello di apertura. In effetti avremmo dovuto (e voluto) esserci, all’Hollywood Bowl, in quella notte d’estate in cui la Storia dei Doors si legò per sempre a quella della Musica. Ma nell’epoca della rilocazione mediale il passato si riattualizza, approdando nelle sale in tutta la sua antica e rinnovata potenza. Il 2013 come il ‘68, mentre scorrono immagini del concerto registrato su 8 piste audio con 5 macchine da presa 16 mm e, oggi, migliorato e ampliato all’audio 5.1 e a brani inediti nella prima versione video (Hello, I Love You, Spanish Caravan). Volute fortemente dalla band, le riprese colsero e restituirono la devastante carica emotiva di un gruppo capace di creare sinergie sospensive come nessun’altro. Il Live at the Bowl fu (ed è ancora) un’esperienza disturbante, erotica e lisergica, del tutto libera da scenografie, artifici, futili entusiasmi. Soltanto musica, in contatto diretto con gli strati più profondi della psiche. Morrison guarda in basso, vede una falena, si china per toccarla: gli acidi lo isolano e proiettano altrove la sua voce ora sofferente, ora sensuale. Fino allo “sparo” della chitarra di Krieger, che abbatte l’Unknown Soldier e lo scaraventa al suolo. Ma Jim canta da terra, immortale. Un’esperienza, più che un concerto. Un universo, più che un documentario. Manzarek, Densmore e Krieger ci prendono per mano, ci spiegano cosa avvenne, ci invitano a entrare nell’arena percettiva. Poi, lo schermo si fa nero. E loro (re)iniziano a suonare. Era il ‘68, e per un’ora lo è di nuovo.
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