Regia di Manetti Bros. vedi scheda film
Direttamente dalla “fogna d’Italia”, un racconto estremo, che narra l’impossibile, con la battagliera ingenuità di chi difende l’ottimismo ad ogni costo, a dispetto dell’evidenza, e perfino sotto la minaccia della morte. La Napoli dei Manetti Bros è la città senza speranza che si aggrappa ai sogni dei neomelodici. In questo film c’è tutto lo spirito di quella musica che parla direttamente al cuore, come una frecciata che sorvola sui dedali della sporcizia morale e materiale, e su tutti gli intricati percorsi che trasformano la vita in un faticoso tragitto cosparso di trappole. Si può credere in un idolo come Lollo Love, la star della canzone che presenta l’amore come un bene a buon mercato, un tesoro che si trova tra le note, e che si può facilmente raggiungere al cellulare. L’incanto surreale è l’antidoto contro una realtà invivibile, una languida inclinazione del pensiero che accomuna le giovani fan del cantante ed un certo Paco Stillo, pianista diplomato al conservatorio, cocco di mamma e bravo ragazzo in cerca del suo primo impiego. La favola può coincidere con l’illusione di essere amate da Lollo. Oppure con l’utopia che il mondo sia fatto per essere governato dalle regole, che il successo dipenda dall’impegno, e che il merito venga sempre premiato. Paco pagherà a caro prezzo il culto di questi sani principi, a cui dovrà sostituire ben altre armi, non meno oneste, ma certo più imparentate con la furbizia. La sua vicenda è l’avventura di un alieno, catapultato suo malgrado in un universo del tutto opposto a quello nel quale pensava di essere nato. Su quel pianeta sconosciuto, a vincere sono la legge del più forte e quella della necessità, la fortuna gioca a caso, ai cattivi è concesso tutto, mentre ai buoni si chiede la luna per poter sopravvivere. Paco si dovrà trasformare completamente, assumendo un ruolo contrario alle sue attitudini - ambiguo e scanzonato, falso e smaliziato – come quello del poliziotto sotto copertura, che si finge tastierista di un complesso pop per catturare un pericoloso latitante. La sua congenita goffaggine imparerà a declinarsi secondo la famigerata arte di arrangiarsi, divenendo uno strumento tanto fantasioso quanto approssimativo e dunque inesorabilmente insidioso. L’antieroe si convertirà in eroe a modo suo, con uguale complicità della iella e della buona sorte, le quali, in questo film, si stringono nel grottesco abbraccio del paradosso a lieto fine. Notevole è lo sforzo narrativo che percorre a ritmo serrato una tortuosa gimcana di coincidenze e contraddizioni, per sfornare l’inattesa morale secondo cui il successo può insegnare molto più del fallimento, mettendo in luce i madornali errori commessi strada facendo. Ciò che conta, infatti, non è risultato, bensì il modo in cui ci si è arrivati: è quella la vera storia, che contiene le spiegazioni e i malintesi, che mostra gli sviluppi e nasconde le ragioni. Song’e Napule ruota intorno al conflitto tra ciò che è e ciò che ha da essere, che ci piaccia o no: un concetto indigesto, un po’ realista, un po’ vigliacco, e splendidamente esposto, con sagace teatralità, nel monologo iniziale di Carlo Buccirosso.
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