Regia di James Wan vedi scheda film
Il regista del capostipite della infinita saga sul quel malignaccio sadico e irrecuperabile dell’Enigmista, torna con un nuovo horror, più maturo e vintage stavolta, che prende avvio con un avvincente antefatto risalente al 1960 e si sviluppa poi, dopo i titoli di testa, dal 1970, quando una coppia di insoliti esperti di fenomeni dell’occulto (quasi i genitori di Mulder e Scully di X-Files) presentataci nel preambolo, viene chiamata (supplicata direi meglio) ad intervenire presso una casa colonica immersa nella campagna nel New England. Appena passata di proprietà ad una numerosa famiglia che comprende due genitori e ben cinque figlie di differente età scolare, la casa nasconde un terribile segreto che prenderà forma di un sordido demone maligno ed andrà ad insidiarsi nel corpo e nello spirito degli elementi più deboli e fragili del gruppo familiare, passando attraverso particolari oggetti che ne costituiranno come un ponte di collegamento.
Illuminato da una bella fotografia e da costumi ed acconciature sino un po’ buffe, ma che tuttavia appaiono molto verosimili e consone ad un contesto temporale così relativamente lontano, The Conjuring sciorina poco per volta tutto il risaputo cliché dell’horror anni ’70, alimentato di rumori, cigolii e porte che sbattono, e riducendo al minimo le apparizioni del demone, nonché l’utilizzo di effetti speciali (cosa peraltro lodevole). E se questo non consente di puntare per nulla sull’originalità, in realtà poco importa perché in definitiva il filmetto risulta comunque gradevole e forte di una discreta presa emotiva. Le scene di suspence tengono desta l’attenzione, pur se ognuno di noi sa già tutto prima e si aspetta esattamente ciò che poco dopo accade (o non accade).
Rispetto ad opere recenti similari in tema di possessione, come appunto “The possession”, film snobbatissimo passato velocemente quasi inosservato sugli schermi qualche mese orsono, per la regia del nordico Ole Bornedal (gran regista danese!), questo film si posiziona, a mio avviso, in un gradino inferiore, pur se nelle ambizioni mira senz’altro su terreni autoriali più elevati del solito horror usa e getta (non fosse per il cast di tutto rispetto di cui si giova). E se da un momento all’altro ti aspetti di veder spuntare il viso allarmato e gli occhioni agghiacciati di una intenditrice dell’horror come Karen Black (gran donna, grandissima attrice, magari coadiuvata da Oliver Reed e Bette Davis – penso a “Ballata macabra”, gioiellino kitch di pieni anni ’70, efficace refrain su case infestate e ingenuamente acquistate o prese a nolo a prezzi da saldo), di certo alla riuscita dell’opera contribuiscono - più che il pur valido regista James Wan, ossessionato come sempre da bambole e burattini maligni che inquadra sempre con passione quasi carnale - il quartetto di attori protagonisti, con una menzione speciale per la sofferta ed efficace interpretazione di Vera Farmiga e per la fantastica Lily Taylor, indimenticata protagonista di uno dei più begli horror dell’ultimo ventennio (The Addiction, naturalmente, …ma là il problema erano i vampiri e il contagio, una paura quest'ultima molto di moda nel fine millennio).
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