Regia di James Wan vedi scheda film
Forse il miglior horror visto sulle case infestate da almeno 30 anni. The Conjuring - L’Evocazione è la classica storia di demoniache presenze all’interno di una dimora, tradizionale magione di campagna, piuttosto isolata dal resto della solita cittadina di provincia americana, immersa tra alberi secolari, lambita da tranquilli specchi d’acqua e depositaria di un terribile segreto. James Wan fattosi conoscere per il voyeurismo sadico di Saw, suo più grande e riconosciuto successo, torna sullo schermo - dopo la pellicola ‘di transizione’ Insidious - con un tema altamente sfruttato ed abusato che non richiedendo nuove originali idee di scrittura (cosa che è avvenuta con Saw scritto a 4 mani col sodale Leigh Whannell) gli consente di concentrarsi unicamente sul come rimaneggiare i tòpoi del genere, ibridare infinite storie di fantasmi e possessioni luciferine e farle convivere nel modo migliore e più convincente possibile. Il risultato, per chi scrive, è davvero buono: il film, la cui visone è partita sotto i peggiori auspici, ha velocemente e progressivamente mostrato carattere e personalità nel raccontare la pur arcinota vicenda di una famigliola - come ne abbiamo viste tante - che nei ben ricostruiti anni ’70 si trasferisce in una grande vecchia casa facendo coincidere l’evento con l’aspettativa di un nuovo tanto desiderato inizio, che sia florido, di sicuro migliore, ricolmo di sogni e di speranze. Che, ben si sa, nei film ‘di paura’ finiscono puntualmente in malora. Gli accadimenti soprannaturali di natura maligna che secondo il più collaudato dei copioni partono con un semplice ma raggelante ‘spiffero’ di vento per finire col palesarsi in modo inequivocabile degenerando in tutta la loro ferocia, si susseguono con ritmo ben sostenuto e sapientemente controllato, così da garantire la linearità e la coerenza della narrazione fino alla sua conclusione, evitando intelligentemente di incappare nelle solite accelerazioni temporali e chiusure frettolose dove l’accumulo di situazioni sortisce soltanto rintronante confusione e noia a profusione. I tempi vengono saggiamente dosati per ogni sequenza chiave, ognuna ben strutturata e ben rappresentata nella cura minuziosa dei dettagli, ognuna impregnata di atmosfere sinistre e perturbanti, cosicché lo spavento costituisca lo stadio terminale di una palpabile macabra tensione ottimamente intessuta, dove il gore lascia il posto alla pulizia di ataviche suggestioni da brivido assicurato, come lo sguardo perso nel buio pesto di una cantina, in cui l’estranea presenza di un ‘qualcuno’ o di un ‘qualcosa’ o il battimani di un innocente gioco infantile (da pelle d’oca, che rimanda alla memoria “l’un due tre: stella!” di un’altra splendida storia di fantasmi) si fa chiaro agghiacciante richiamo/richiesta di morte. Eppure The Conjuring - L’Evocazione non è soltanto una limpida galleria di angosciose manifestazioni maligne. C’è posto anche per le storie (vere?) che in parallelo vengono narrate, quella della famigliola felice non per molto (marito, moglie e 5 figlie con cane - anche lei femmina - al seguito) e quella dei due coniugi famosi demonologi attivi tra gli anni ’60 e ’70, che autorizzati dal Vaticano liberano le case da ‘fastidiose’ presenze provenienti direttamente dagli inferi (dice qualcosa la chiamata da Long Island sul finale?). Spessore psicologico e profonda umanità a dare anima a caratteri altrimenti strumentali, ed un forte senso materno che pervade le due forti donne in lotta contro le malvagie entità oscure (non a caso hanno i rispettivi volti della sempre brava ed espressiva Lili Taylor e della piena di grazia ed eleganza Vera Farmiga), l’unica arma a dimostrarsi veramente efficace nell’annientare la terribile maledizione che da secoli grava sulla casa ed il terreno circostante, maledizione che rinnova all’infinito la colpa originale riversandola su chiunque si imbatta in essa. A metà strada tra Amityville Horror e Poltergeist, The Conjuring - L’Evocazione è un’opera solida che si lascia guardare senza procurare cali di attenzione, avvince lo spettatore facendogli superare la forte sensazione di déjà vu che inevitabilmente si riscontra. Girato bene e fotografato meglio, si svolge quasi per intero in un ambiente chiuso, di cui ci vengono ampiamente mostrati gli spazi e le loro reali dimensioni, dove l’azione prende vita e dove la mdp si dimostra assai agile e pienamente a suo agio nel condurla inseguirla ed immortalarla. Da ricordare la stanza tenuta sottochiave, una sorta di cripta fatta in casa, custodia di reliquie-oggetti che hanno subìto una possessione, tra i tanti l’inquietante bambola che ghigna dall’alto della bella locandina e, fra gli scaffali, una scimmietta di peluche vestita da suonatore di banda, affettuoso omaggio allo Stephen King del racconto La scimmia (presente nella raccolta Scheletri).
'Batta le mani' colui tanto coraggioso da entrare in questa anticamera dell’inferno, posare lo sguardo sugli oggetti infestati, sperando non lo ricambino, e infine, guardare nell’ovale riflesso di un carillon il demone/spettro/fantasma che lo sta osservando da dietro le spalle.
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