Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Quello che è stato e quel che poteva (doveva) essere.
Così si può, banalmente, sintetizzare l’episodio terminale della fortunatissima saga di Una notte da leoni.
La scena durante i titoli di coda mette il sigillo tombale a tale affermazione. Risate sguaiate, garantite, facili, ormai impreviste, secondo il collaudato schema proposto all’esordio e successivamente riciclato/copincollato senza tanti complimenti e voli di fantasia nell’inevitabile primo sequel: questo è esattamente quello che poteva essere. Quello che avrebbe dovuto essere agli occhi di coloro i quali si erano lasciati trascinare nel rozzo vortice comico delle precedenti puntate.
Tutto, appunto, già visto e piaciuto, rimasticato e replicato (nonché replicabile, in pratica, all’infinito), con i medesimi protagonisti nella medesima schizzata situazione post sbronza da cui poi si diramano i tentacoli stringenti del folle susseguirsi di (catastro)fiche avventure. Invece non è che un attimo, relegato in fondo visione a mo’ di regalo/contentino. Un po’ come quando al bambino appena “torturato” dal dentista si dà un gelato.
Dimostrazione, comunque, che si è trattata di una scelta non frutto del caso o dell’incapacità di ripetere la formul(ett)a vincente (e ci mancherebbe pure).
Allora, la si può mettere così: apprezziamo il tentativo. Non altro, però, giusto le intenzioni.
E qui si giunge a ciò che The Hangover Part III è (mestamente) stato: una sciocchezzuola che, oltre al solito sciocchezzario di gag “maleducate” assortite, prova il grande salto giocando pericolosamente con i topoi di roba seria come il thriller, l’on the road e finanche il dramma. Un azzardo in piena regola che sortisce effetti stranianti e diverse questioni: perché? Perché provarci se non si possiedono gli strumenti necessari? Perché farlo se il target è decisamente un altro?
Mah. L’impressione è che tutto avvenga in funzione subordinata all’imperativo di far ridere spingendosi sempre più oltre: solo questo può giustificare la confusa/confondente e informe massa di “strani” accadimenti (in primis i morti ammazzati; più in generale l’artefatta aria dura e ombrosa) e di segmenti parsi perlopiù incomprensibili (ad esempio la riunione con la - ex - prostituta impersonata da Heather Graham nel primo episodio).
Il fatto è che, salvo un paio di colpi che vanno a segno, la visione di Una notte da leoni 3 non suscita granché ilarità. Inoltre, si è senz’altro rivelato un errore permettere che la comicità dissacrante ma ripetitiva di Leslie Chow/Ken Jeong abbia finito col fagocitarsi buona parte del film a discapito di un Alan/Zach Galifianakis che in più di un’occasione si dimostra incerto e svagato (e magari anche svogliato), come se non avesse altre istruzioni che quelle di fare qualche smorfia e faccia buffa o emettere suoni “spiritosi”. Oppure di affiancargli la (altrove devastante) Melissa McCarthy sperando che basti metterli assieme nella stessa inquadratura per produrre grosso grasso spasso: ma se mancano le battute, se il copione latita, come si fa?
Nella magmatica sinfonia di morte finisce suonato anche un pezzo da novanta come il grande John Goodman, ridotto a “macchiettizzare” un cattivo anonimo e anonimamente stolterello (proprio sul più bello). Per non parlare delle succitate Graham (una che farebbe sempre faville) e McCarthy (un po’ più di spazio, no?).
Trama sconclusionata, umorismo di riporto e volatile, astruso (e comunque di modesta fattura), attori in evidente stato di stanchezza, ambizioni mal riposte: questo è quel che è stato.
Probabilmente sarebbe stato meglio proseguire nel ben noto, produttivo percorso. Sicuramente si poteva non proseguire affatto.
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