Regia di Edgar Wright vedi scheda film
Un po’ John Bender di Breakfast Club, un po’ Neo di Matrix, Gary King bussa alle porte degli ex compagni di liceo sfoggiando la stessa t-shirt dei Sisters of Mercy sotto al cappottone svolazzante e logoro. Alcolista tutt’altro che anonimo (il cognome regale è un’illusione di rivincita sulla società che l’ha inebriato di false promesse), vuole rimettere insieme la banda per imboccare, dopo vent’anni, il sentiero interrotto quando ne avevano 18: il Golden Mile, percorso dorato come il malto che collega le 12 tappe (leggi anche: pub, dai nomi medievali e/o premonitori) dislocate nel paese natale di Newton Haven. Ma i ragazzini incrociati nelle toilette non mostrano segni di idiozia alcolica, la tappezzeria dei locali è mestamente standardizzata, i rustici autoctoni ostentano cordiale estraneità. «Non siamo noi a esser cambiati, è la città!»: l’urlo liberatorio e alticcio di Simon Pegg vale come manifesto di quest’apocalisse esilarante e nostalgica, ipercitazionista e folleggiante, affogata nella birra che non si rovescia di fronte all’attacco dei robot, e continua a sgorgare salvifica e illuminante mentre un’umanità soggiogata ripete automaticamente di essere felice. Rivendicare il diritto umano a essere incasinati è l’unico modo per spegnere gli occhi al neon degli alieni ed essere abbandonati al nostro destino di perdenti. Perché se gli invasori cercano solo di migliorarci, forse noi vogliamo restare brutti sporchi & sbronzi. La Trilogia del cornetto ha la fine (del mondo) che si merita, Pegg un ruolo di commovente e disturbante disperazione.
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