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La fine del mondo

Regia di Edgar Wright vedi scheda film

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La recensione su La fine del mondo

di OGM
6 stelle

Quando arriva, arriva. Di solito succede sul più bello. Gary King è a un passo dal realizzare il sogno della sua vita: completare il golden mile, un itinerario attraverso i dodici pub della cittadina inglese  di Newton Haven. Il progetto è rimasto in sospeso dalla sera di venerdì 22 giugno 1990, quando, insieme a quattro amici, festeggiando l’ultimo giorno di scuola, era quasi riuscito nell’intento: mancavano allora solo due tappe al traguardo finale, il locale dal significativo nome di The World’s End. Ora, dopo vent’anni, Gary decide che è giunto il momento di ritentare l’impresa, ed organizza allo scopo una rimpatriata con i suoi vecchi compagni. Ma il tempo è passato, ed il mondo, insieme a loro, è cambiato non poco. Anzi, la trasformazione più clamorosa è quella che si sta preparando adesso, e che nessuno si aspetta. La storia dell’umanità è giunta ad una pericolosa svolta, e toccherà proprio ai cinque appassionati bevitori di birra alla spina il difficile compito di cercare di scongiurare la catastrofe. A due anni da Paul, Simon Pegg – attore principale e cosceneggiatore del film insieme al regista Edward Wright, reduce da Scott Pilgrim vs. the World – torna al genere fantascientifico a sfondo demenziale ma non troppo, dalla comicità contenuta ed occasionalmente insaporita da modeste pretese di riflessione esistenziale. L’impasto nel complesso è gradevole, tuttavia non riesce ad essere veramente brillante a causa dello spirito ovattato che circonda le sue gag.  La tendenza alla grossolanità, seppure elegantemente elusa da uno script amante della metafora e del discorso indiretto, si converte in una eccessiva concessione alla convenzionalità, che mitiga l’effetto sorpresa e, specialmente nel finale, diluisce l’ironia in una pedante prolissità. Vorremo poter sorridere di cuore, di fronte a quelle sbiadite caricature di nerds alle prese con la nostalgia della gioventù, ma un’atmosfera cupa e tiepida spazza via ogni spunto di freschezza, lasciandoci affondare in quanto di smorto vi può essere nella rievocazione di un passato che non sembra essere stato particolarmente allegro e significativo, e che si stenta perfino a ricordare. L’interpretazione di Simon Pegg, vigorosamente beffarda ma sostanzialmente monocorde, non aggiunge nulla a quella che sembra una stanca parodia dell’horror apocalittico, basata su semplicistiche citazioni del repertorio classico che spazia da Il villaggio dei dannati a La notte dei morti viventi. Di fronte a questo film così opaco e affaticato, si direbbe che il mito dell’(anti)eroe per caso si sia definitivamente appannato: non vi riconosciamo più un ritratto di noi stessi, guerrieri senz’armi impegnati in una misera battaglia contro l’assurdo che incombe. E, sinceramente, non sappiamo per chi fare il tifo: se per quel manipolo di disgraziati in carne ed ossa che inneggiano alla propria imperfezione, o per quella schiera di cloni-robot dagli occhi scintillanti, giunti dallo spazio per fare piazza pulita e costruire una nuova Terra.

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