Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film
Uno dei film che meglio testimoniano il talento visionario ed eversivo, per certi aspetti iconoclasta, di Paul Verhoeven, come forse non se ne vedeva uno dai tempi di Buñuel e Jodorowsky. Chi conosce il Verhoeven americano dei grossi successi commerciali degli anni '90 sappia che questo non è neanche lontano parente del regista che realizzò i primi film nella sua madrepatria, che è l'Olanda. E sappia anche che, al confronto, i primi lavori di Almodovar sono acqua di malva.
Il protagonista del Quarto uomo è infatti uno scrittore cattolico ma omosessuale, in crisi con il proprio compagno. Viene invitato a tenere una conferenza in una cittadina di provincia e resta ospite di una donna cui, come scoprirà, sono già morti tre mariti. Dopo la prima notte di sesso, lo scrittore vorrebbe andarsene, ma decide di restare quando scopre che il nuovo fidanzato della vedova è un bellissimo ragazzo da lui già incontrato all'edicola della stazione.
Tra presagi di morte e ossessioni religiose, lo scrittore si troverà a vivere una sorta di incubo che si chiuderà soltanto con il compiersi del destino del quarto uomo del titolo.
Verhoeven usa tutto l'armamentario di cui è in possesso, compresa una forte dose di misoginia, che lo accompagnerà anche nella sua carriera americana (si pensi a Basic Instinct).
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