Regia di Orson Welles vedi scheda film
Il cittadino Kane in punto di morte ha pronunciato una parola incomprensibile. Gli amici si mettono alla ricerca del suo significato: scavano nel passato dell’uomo, intervistano chi lo ha conosciuto, raccolgono documenti e testimonianze, ma i loro sforzi non approdano a nulla. La verità viene svelata solo allo spettatore: quella parola rappresenta l’innocenza perduta che resta nascosta in fondo al cuore di ogni uomo, per quanto la vita abbia potuto renderlo arido e cattivo. Al di là delle rivoluzionarie innovazioni tecniche, giustamente sottolineate da tutti i recensori, il film racconta una storia esemplare in modo appassionante: sceglie un protagonista volutamente sgradevole (il primo di una serie che il regista e attore si compiacerà di interpretare) e alla fine, senza forzature, solo con un piccolo colpo di pollice, impone una rilettura della sua parabola umana e ci costringe a considerarlo sotto una nuova luce. Però non è il Welles che amo di più: il mio istintivo senso della classicità continua a farmi preferire L’orgoglio degli Amberson. Fra gli innumerevoli omaggi e citazioni mi piace ricordare il battibecco coniugale fra Sean Connery e Gena Rowlands in Scherzi del cuore (1998): “Cosa stai guardando?” “Quarto potere. So già come va a finire, quindi è inutile che mi dici: Ah, sì, è quello con la slitta che si chiama Rosebud” (versione semplificata di una serie di battute riguardanti anche Merletto di mezzanotte e Psycho).
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