Regia di Orson Welles vedi scheda film
"Citizen Kane" è la biografia inventata di un eroe tragico della modernità. Il protagonista è la somma incarnazione del sogno americano, il simbolo trionfale del paese delle infinite possibilità, che promette a ciascuno l'opportunità di creare un'immensa fortuna dal nulla. Questo film, a dispetto del titolo italiano, non è un atto di denuncia contro lo strapotere dei colossi editoriali, bensì è la storia emblematica di una solitudine indotta dalla smania di possesso, che nasce dai miti del college prestigioso, del successo professionale e del denaro, e che finisce per sostituire, nel rapporto con le cose e le persone, la passione intellettuale e il sentimento umano con una indiscriminata logica di compravendita. Per Charles F. Kane, "Rosabella" (che nella versione inglese è "rose bud", ossia "bocciolo di rosa") è l'estremo, tenero germoglio di amore che è rimasto sepolto nel cuore, il solo sopravvissuto alla progressiva desertificazione dell'anima. L'oggetto a cui si riferisce quel nome così enigmatico e romantico è l'unica traccia residua di una vita "vera" che appartiene ormai tutta al passato: l'ultimo segnavia incontrato lungo una strada che Charles ha per sempre abbandonato. Ed è anche il suggello di quella dimensione esclusivamente intima che – al di là delle numerose diramazioni dell'uomo "pubblico" – è destinata a restare nascosta e indecifrabile per il mondo esterno: è il segreto sussulto che l'uomo "privato" custodisce silenziosamente per tutta la vita, e che con lui muore, e che nessuna inchiesta giornalistica, nessuna intervista, nessuna consultazione di documenti e nessuna perquisizione potranno mai portare alla luce.
Gli schematismi geometrici della regia di Orson Welles si esprimono qui più che mai attraverso suggestioni grafiche alla Escher: a parte le esplicite citazioni pittoriche del puzzle e della boccia di vetro, i richiami allo stile dell'artista olandese servono per raffigurare l'invasivo predominio della quantità, quella finta crescita che si risolve, in realtà, in una sterile autoriproduzione (il gioco degli specchi contrapposti), nella infinita ripetizione dello stesso motivo (gli elementi della banda musicale e il gruppo delle majorette, le statue tutte simili, gli animali a coppie) e nella deformazione visiva che conduce al paradosso prospettico (la sproporzione tra la figura della seconda moglie e l'enorme mantice del caminetto). Il bianco e nero non è semplice assenza di colore; significa, invece, prevalenza della linea e freddezza ottica, due elementi funzionali all'atmosfera algida e razionale che pervade il film.
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