Regia di Orson Welles vedi scheda film
Impossibile dire qualcosa che non sia già stato dett, quindi passo.
La mdp al potere.
Parlare di cinema dopo Orson Welles non può prescindere da questa formula.
Lo sguardo del regista è il motore immobile verso cui tutto converge e da cui tutto si dipana.
Le storie, gli interpreti, le scenografie, la musica, la fotografia, trucco e costumi, dal 1941 divennero l’enorme esercito che il suo occhio disponeva sulla scena e dava in pasto al mondo.
Chi rivela il mistero di Citizen Kane, quell’enigma su cui tutti si arrovellano alla sua morte, non riuscendo?
La mdp. Solo lei s’immerge nel fuoco che pian piano mangia lo slittino di legno, dopo aver sciolto la vernice e la scritta Rosebud.
Una parola infantile, leziosa, carina, per un oggetto di tempi lontani, quando uno slittino colorato era il mondo intero per un bambino solitario in un campo di neve visto dalla finestra.Visto dalla mdp, che intanto inquadra la severa madre (Agnes Moorehead sembra nata per quella parte) che, certo pensando di fare il suo bene, sta condannando il piccolo Charles Foster Kane all’infelicità.
La storia è nota, tutti ormai la conoscono da più di 80 anni e si dipana a lungo con quei salti temporali, flashback, ripetizioni, insomma tutto quello che una mente straordinaria come quella del giovane Welles di 25 anni seppe inventare per fare di Citizen Kane quell’opera irripetibile che è.
Sulle vicende dell’opera, la nascita e il percorso fino a noi, le grandi tecniche innovative che aprirono strade fino ad allora sconosciute, è stato detto tutto, non c’è un fotogramma che sia sfuggito, un significato trascurato, la sterminata bibliografia e i pareri illustri sono il podio su cui si erge il film per quell’eternità concessa alle cose umane, di cui pure ci accontentiamo.
Resta forse più memorabile fra tutti il giudizio di Borges, “un giallo metafisico”. Detto dal padre di tutti i labirinti, c’inchiniamo a colui che ha colto quello che Welles ha tradotto in immagini, il luogo simbolo della vita umana, dove ci si può solo perdere avendo dimenticato di partire con un filo.
E oggi restiamo noi, spettatori di generazioni molto lontane dal 1941.
A noi il film si offre ancora per dirci quello che ha da dire.
Cosa continua a dirci?
Tre parole: una, rosebud, due, no trespassing, e poi un gran sbuffo di fumo da una ciminiera.
E’ lo slittino, ridotto in cenere con tanta altra spazzatura di cui stanno liberando Xanadu, l’orribile castello barocco fatto costruire da Kane e imbottito di roba da riempire dieci musei.
Bulimia di chi non ha avuto l’unica, semplice cosa che voleva una volta, lo slittino.
E magari anche una carezza dalla madre.
E’ un percorso circolare quello del cittadino Kane, tutto finisce dove comincia, dentro il cerchio c’è un gran puzzle di piccole e grandi tessere che s’incastrano anno dopo anno a raccontare la storia dell’uomo.
Quella di Kane è destinata ad essere memorabile perché il caso lo ha voluto.
Una miniera d’oro ereditata dalla madre, un futuro promettente, grandi mezzi, una vita piena di opportunità, che lui coglie e ottimizza per costruire un impero.
Non essendo Giulio Cesare nè Napoleone, ne costruisce uno di carta, che è quello che, dalla seconda metà del secolo scorso, si rivelò il mezzo più efficace dai tempi di Gutenberg per ottenere ciò che una volta ottenevano spade, scimitarre e cannoni: il controllo della massa, grande protagonista dell’ultimo secolo.
L’impero dei magnati della carta stampata fu, è, questo, e benchè la tecnologia abbia portato oggi sostanziali modifiche, il principio è rimasto lo stesso.
Dunque il signor Kane compie un percorso annunciato, dirige, manipola, decide lui per tutti, è il grande padrone del vapore davanti a cui si prostrano plotoni adoranti.
Tranne uno, l’amico Leland (Joseph Cotten) che proprio perché amico ne vede i limiti.
Ma Kane continua per la sua strada che prima o poi si rivelerà un piano inclinato, il potere acceca e ora il suo scopo è che tutti facciano ciò che vuole e siano come vuole lui. Perfino la seconda moglie Susan Alexander (Dorothy Comingore) che gli ha interrotto la carriera politica per lo scandalo che ne derivò (in America è sempre andata così, hai un’amante e sei sposato? Via, sei indegno di guidare il Paese!), insomma perfino lei deve tirar fuori dalla sua povera ugola la voce che non ha.
Spesso, anche se non sempre (e l’ultimo, recente caso è sotto i nostri occhi) figure del genere non muoiono come vissero, i riflettori si spengono, la vecchiaia è male imperdonabile, e più la vita è stata al centro più si viene gettato ai margini.
Kane resta solo e muore solo.
E cosa aveva in mano sul letto di morte? La piccola boccia di vetro con la neve, grande felicità dei bambini di un tempo.
L’ultima parola sulle sue labbra in primissimo piano è Rosebud, quella stranissima parola che nessuno saprà spiegare.
Al di là del frastuono degli anni d’oro, alimentato, anzi enfatizzato dalla partitura musicale di un genio come Bernard Herrmann, reso ipnotico dal montaggio di Robert Wise e dalla splendida fotografia in bianco e nero di Gregg Toland, scandito da una sceneggiatura capolavoro dello stesso Welles e di Herman J. Mankievics, al di là di quel porsi come deus ex machina in tutti i consigli di amministrazione, nei comizi elettorali, nelle redazioni dei giornali che compra come noccioline, tuonando con il suo vocione da tromba del giudizio, imponendosi con una fisicità massiccia, dominante, straripante, nonostante tutto il cittadino Kane è un uomo fragile, abilissimo a nascondere anche a sé stesso il fondo irrisolto della sua vita.
Non andare via, chiede alla moglie che sta per lasciarlo, e il grand’uomo sembra raggomitolato su sé stesso.
Niente di strano, capita al novanta per cento degli esseri umani, Kane è tutti noi, uno slittino abbandonato, una parola non detta, un bacio non dato, un piccolo sogno smarrito.
E Orson Welles, produttore, regista, attore e sceneggiatore, ce lo racconta ancora nel magnifico restauro di I Wonder Pictures, che coglie l’occasione delle prossime primarie negli States per ricordare alla gente certe cosucce da non dimenticare.
www.paoladigiuseppe.it
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