Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
La trilogia sulla famiglia di Daniele Luchetti, dopo Mio fratello è figlio unico e La nostra vita, si conclude con un film che cresce durante la visione a seguire un percorso narrativo che, soprattutto alla deflagrazione dei sentimenti familiari, convince, diventa autobiografia toccante, si riflette in immagini senza una fine - e infatti i fotogrammi proseguono dopo i titoli di coda - perché inscritte nella memoria. Luchetti con Anni felici firma la sua opera più ambiziosa, provando con audacia a mostrarsi autore (e questo molti non glielo perdoneranno) e intessendo una tela, personale e originale, grazie alla quale contiene anche alcune derive negative del cinema italiano. Come, per esempio, la rilettura storica, con il ruolo prevaricante degli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli (qui invece al servizio della storia del film), o come una certa confezione convenzionale (di colonne sonore onnipresenti, di scenografie di maniera...). Perché c’è tutta l’Italia del 1974 nella vicenda familiare di Guido che fa l’artista (Kim Rossi Stuart perfetto, come sempre, quando sclera) e di Serena (una casalinga Micaela Ramazzotti) con i loro complicati (dis)amori. Sullo sfondo rimane la grande storia (è l’anno del referendum sul divorzio), che non interessa qui a Luchetti perché è il punto di vista del figlio Dario di dieci anni (lo sguardo autobiografico del regista interpretato da Samuel Garofalo) a non poterla comprendere. Così a noi basta l’idrolitina, il bollo ACI sul parabrezza, il telefono con i fili che non suonava bensì squillava, il Ford Transit, in tv la Linea di Cavandoli, per capire dove (e chi) siamo. La materia su cui Luchetti gioca - utilizzando la camera a mano, i primi piani che finiscono per diventare struggenti dettagli, il flashback, Il Super8 (in un film girato su pellicola), una colonna sonora sorprendentemente minimale con solo due brani d’epoca (di cui uno pure sui titoli di coda) - è quella della memoria di una famiglia. Ed è la grazia nel racconto dei gesti più piccoli - una spazzolatina sulla spalla del bambino per presentarsi bene, o la mano di Dario sulla schiena della ragazzina come ha visto fare alla mamma - a ricordarci la nostra vita vera. Proprio come quella dell’estate in cui siamo stati felici ma non lo sapevamo.
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