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Anni felici

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su Anni felici

di barabbovich
4 stelle

Fidatevi: quando un autore racconta di un regista in crisi che non sa quale film intentarsi o rovista nel baule dei ricordi, non è (quasi) mai un buon segno. Non fa eccezione questo film semi-autobiografico di Daniele Luchetti, regista non proprio prolifico (una decina di film in oltre 25 anni di carriera), che proprio con Anni felici firma, insieme a La settimana della sfinge e Dillo con parole mie, uno dei suoi film meno riusciti.
La porzione di memorie che va in scena è quella del 1974, affidate alla voce off del figlio maggiore ormai cresciuto, il decenne Dario (Garofalo), nel quale si identifica il regista e al quale sarebbe arrivata una cinepresa in Super8 in dono. È l'anno in cui il padre del piccolo protagonista (Rossi Stuart), artista d'avanguardia velleitario e pochissimo ispirato, usava il suo laboratorio più come palestra erotica che come luogo creativo, tra una lezione e l'altra sulla storia dell'arte. Tradimento dopo tradimento, la moglie (Micaela Ramazzotti, che torna a recitare con Kim Rossi Stuart a 4 anni da Questione di cuore) sbotta, fino a cedere alle lusinghe di una gallerista dalle inclinazioni saffiche (Gedeck). A quel punto la coppia scoppia.
Abbandonata da tempo la strada della riflessione sul sociale (I piccoli maestri, La scuola, Arriva la bufera, Il portaborse), Luchetti insiste sul suo cinema da tinello con la quarta opera consecutiva che va a collocare la famiglia al centro della scena. E ancora una volta (con la sola eccezione de La nostra vita) registriamo l'inconsistenza del copione (scritto con Rulli & Petraglia), la pochezza dei contenuti, la superficialità dei caratteri psicologici dei diversi personaggi. La ricostruzione del passato qui si fa caricatura, l'arte d'avanguardia non è diversa né meno ridicola da quella del Sordi alla biennale veneziana nell'episodio di Dove vai in vacanza?, i clichè dell'epoca (con i figli che chiamano i genitori per nome anziché mamma e papà) sanno di precotto e molti personaggi, dalla gallerista ai due figli della coppia (peraltro pessimi interpreti) sono confinati al ruolo di tappezzeria. Ma ancora una volta a dare un minimo di spessore a un'opera del tutto inconsistente contribuisce la prova sovrumana di Kim Rossi Stuart, che si conferma uno dei migliori attori della sua generazione.

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