Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film
Una cosa buona Luchetti l’ha fatta, bisogna riconoscerlo: non presentarlo a Venezia.
Purtroppo ci ha sputtanato in Canada, ma credo che il mondo intero sappia a quali minimi termini è ridotto il nostro cinema, così amato dalla critica de noantri (non dimentichiamo però che, se a Venezia non c’era Anni felici, c’era Sacro Gra a pareggiare i conti).
Ma, riflettendoci, più che di cinema italiano bisognerebbe ormai parlare di cinema laziale, romano. Perché di cose egregie la Sicilia, ad esempio, continua a sfornarne (Emma Dante e la Quatriglio, per citare le prime che vengono in mente). E anche il Veneto fa la sua parte con Segre e Mazzacurati.
E’ l’Italia di prima dell’unità, riconosciamolo! Il cinema delle regioni.
Dunque Roma, la grande bruttezza.
Qui c’è anche un pezzo di Fregene, poi si va in trasferta femminista con incomparabile deriva lesbica in Camargue e figli al seguito, quindi si torna nella città eterna dove, non si capisce bene a causa di una sceneggiatura che dire raffazzonata è dir poco, la vita della coppia, felice fino a prova contraria (ma poi, in finale, arriverà la frase famosa “Eravamo felici e non lo sapevamo”) dicevo, dove la coppia che vive, sembrerebbe, di stenti (a sentir lei), ha una camera da letto che pare quella di Woody Allen con finestre su Central Park.
Lui guida sì una sgangherata Diane 6 che nel ’74 faceva tanto macchina degli artisti, però pare che insegni all’Accademia, e dove sennò farebbe quelle lezioni magistrali sul baricentro della figura e l’asse di allineamento tanto simile a quello della vita?
Magari in quegli anni insegnare all’Accademia! erano begli stipendi e belle carriere!
Infatti lui ci prova, sciorina un po’ di modelle nude per una performance milanese di body art, le cosparge di vernice e il critico famoso, napoletano dai denti guasti, gliela stronca e si prende un cazzotto in diretta.
La prima mezz’ora gronda di citazioni dotte, da Manzoni a Tano Festa, da Schifano ad Angeli, c’è tutta la scuola di Piazza del Popolo, così l’apparato filologico del film è a posto e può tranquillamente mettersi da parte.
Infatti, per quel che racconta, il padre poteva benissimo anche fare il salumaio, i problemi relazionali con moglie e figli sarebbero stati identici.
Qua e là Luchetti infila qualche trovatina furba per rendere il film più piacione ancora (tipo il mancato annegamento del figlioletto che gira con cinepresa e che dovrebbe essere lui da piccolo, col suo talento in erba), per il resto la reazione più ricorrente, a intervalli di cinque minuti è: ma questo film non finisce mai?
Bene, al solito le trappole delle sirene casalinghe funzionano, anche questo sono riuscita a vederlo, eravamo in quattro in una sala triste come il mare in inverno.
Avanti il prossimo, speriamo della regione buona.
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