Espandi menu
cerca
Anni felici

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

Recensioni

L'autore

giancarlo visitilli

giancarlo visitilli

Iscritto dal 5 ottobre 2003 Vai al suo profilo
  • Seguaci 19
  • Post 2
  • Recensioni 452
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Anni felici

di giancarlo visitilli
6 stelle

Dare forma all’assenza. Forse a ciò che oggi manca di quegli anni Settanta, ai quali si resta ancora fortemente ancorati, perché nostalgicamente densi di dibattiti culturali che travalicavano i confini dell’arte in sé. E gli anni del cinema che andava, del teatro che produceva e c’era la fila al botteghino, della musica che si comprava. Ma anche anni di stragi… Altro che anni felici, quelli!

Il bravo regista, Daniele Luchetti, sceneggiatore con Sandro Petraglia, Stefano Rulli e Caterina Venturini, a partire da gran parte della sua esperienza autobiografica e affidandosi alla penna di grandi sceneggiatori, ci riporta nella Roma del 1974, dove Guido, un artista che vorrebbe essere d’avanguardia, vive l’ingombro di una famiglia troppo borghese e invadente. Serena, sua moglie, non ama l’arte, ma ama molto l’artista, tant’è che lo “invade”. I loro figli, Dario e Paolo, 10 e 5 anni, sono i testimoni involontari della loro irresistibile attrazione erotica, dei loro disastri, dei tradimenti, delle loro eterne trattative amorose. Tra liti furibonde, happenings artistici, filmini amatoriali delle vacanze, in super 8, e confessioni, il film racconta gli anni felici, tali se raccontati con il senno di poi, di una famiglia che, provando ad essere più libera, si ritrova in una prigione senza vie di fuga.

E’ evidente che nel personaggio del piccolo Dario a cui regalano una cinepresa super 8 c’è il bambino Luchetti, che sa raccontare le storie con la stessa maniacale semplicità dei bambini. Anni felici è un semplice ritratto, che con chiarezza e positiva ingenuità, riesce a raccontare tutte le dinamiche emotive all’interno di nucleo familiare. Perché i personaggi del film sono ben scritti e delineati, contestualizzati in ambienti anche formalmente ineccepibili (dagli abiti, alle auto, ai colori acidi tipici di quegli anni). Anche la fotografia di Claudio Collepiccolo, riesce a restituire tutta la vivacità dei colori di quegli anni. E’ tutto ciò che costituisce il punto di forza del film, che invece pecca in quel connubio a cui, continuamente si accenna nel film, fra intimità familiare e i grandi temi sull’arte contemporanea, il femminismo, la critica sociale, che sono portati avanti mediante un’eccessiva approssimazione da commediola. Peccato. Perché, altro pregio del film è senza’altro la bravura del cast, ben diretto, come sempre accade nei suoi film, da parte di un regista che sa dirigere gli attori, qualità non di poco conto nel cinema nostrano. Ottima la prova di Micaela Ramazzotti, che matura e ci fa innamorare sempre più, col tempo, non solo dell’arte ma della sua crescita intorno a quella per la quale lei si spende. Straordinario Kim Rossi Stuart, anche se ricorda un po’ troppo sempre e soltanto la stessa parte del suo bellissimo Anche libero va bene (2006), per tanto fa comunque la sua bella figura anche accanto alla grandissima tedesca Martina Gedeck.

Tuttavia, rispetto a Mio fratello è figlio unico (2007) e La nostra vita (2010), quest’ultimo film, pur essendo valido, specie in rapporto alla riflessione sulla libertà e sul rispetto di chi si sceglie di mettere al mondo, i figli, resta un lavoro poco più che sufficiente. Perché, se dovessimo ricordare quegli anni (in)felici, gli stessi di cui descrive Luchetti, sono davvero quelli gli “anni di piombo”, della strage a Piazzale della Loggia a Brescia, della bomba sull’Italicus, della crisi energetica e dell’austerità. Insomma, un’Italia di cui Luchetti, mediante Guido e Serena, sembra non accorgersi. Perciò, dimenticano i figli… 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati