Regia di Mario Soldati vedi scheda film
Il giovane mantenuto di una ricca industriale si innamora di una studentessa universitaria e organizza una messinscena per farle credere di avere una vita normale: due finti genitori, una finta casa di famiglia, un finto lavoro. Un film impossibile da valutare senza tener conto della sua lavorazione travagliata: venne girato in parte nel 1943, prima della caduta del fascismo, e in parte nel 1944, dopo la liberazione di Roma. Il risultato è inevitabilmente sconnesso: un melodramma basato su un espediente da commedia come lo scambio di persone, che però a sua volta viene sfruttato poco; una gestione confusa degli spazi (una villa di Albano e un albergo di Roma, fra i quali c’è un continuo andirivieni) e dei tempi (quasi tutta la vicenda si svolge in un’unica sera dilatata all’inverosimile); un inizio vagamente pirandelliano, con la riflessione sul rapporto tra realtà e apparenza (il giovane raccomanda all’attore che ha assoldato di non impersonare suo padre, ma di esserlo), che però resta uno spunto isolato. Finale moralistico, tipico di certe commedie del Camerini d’anteguerra (Il signor Max, I grandi magazzini): un addio alla pericolosa illusione di una vita facile, alle prime luci di un giorno nuovo. Con il suo richiamo al senso di responsabilità imposto dalla situazione storica potrebbe sembrare il contributo di Soldati al nascente neorealismo; invece questo è proprio il tipo di cinema che il neorealismo spazzerà via.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta