Regia di René Clair vedi scheda film
L’avevo visto quando era uscito, ricordavo che mi era piaciuto, ma niente altro; credo di aver fatto qualche confusione (vergognosa! Ma è passato mezzo secolo e allora non facevo critica cinematografica…) con Il porto delle nebbie, di spirito e stile totalmente diversi, ma in ambiente simile, entrambi con Brasseur, con un fuggitivo coinvolto in un amore e ucciso quando sta per partire, e con due titoli che in italiano hanno scambi quasi opposti, da “porte” a “quartiere” e da “quai” a “porto”. Questo non è affatto tragico come la vicenda potrebbe suggerire: resta un film di Clair (l’hanno già detto in tanti, spesso come critica, mentre Clair vuole prenderlo come lode, e così penso anche io), e di tutto rispetto (come di tutto rispetto è l’altro, ma di Carné, quasi opposto). Tornato opportunamente al bianco e nero, più adatto allo stile e allo spirito del film, come ha spiegato Clair, che ha anche detto di aver voluto ammorbidire la durezza del personaggi del libro e associare ai temi dell’amicizia e dell’amore quello dell’altruismo, mostrando come un relitto umano possa arrivare a pensare agli altri e dedicarsi a loro. Tutt’altro che amaro e pessimista come hanno detto alcuni. Molto spesso è stata travisata la stessa vicenda del film, pur molto semplice.
Juju (Brasseur), ubriacone che vive alle spalle della anziana madre e della sorella, passa la giornata in osteria, dove guarda teneramente ma senza speranze Maria, la figlia dell’oste; poi va a finire le serate a casa dell’amico cantante e chitarrista chiamato “l’artiste” (Brassens). Un giorno in casa di questi si nasconde Pierre Barbier, un criminale ricercato dalla polizia e ferito, che li costringe ad aiutarlo. Juju lo aiuta spontaneamente, in un misto di compassione e di ammirazione, mentre l’artista gli procura un passaporto affinché se ne vada presto. Maria intanto sospetta qualcosa e ottiene qualche informazione da Juju, entra in casa e lo scopre… e se ne innamora perdutamente, si offre di procurargli il denaro per la fuga e di fuggire con lui; chiede a Juju di aiutarla a incontrarsi con il bandito, poi di consegnargli una forte somma di denaro per consentirgli di fuggire a Marsiglia, dove lei lo raggiungerà; ma lui non ha nessuna intenzione di aspettarla, ammette a Juju di averla sfruttata e ingannata. Juju ora vuole impedirgli di partire, lo colpisce… Si odono tre colpi di pistola, poi Juju a casa dell’artista racconta l’accaduto e mostra il denaro che intende restituire a Maria.
L’unica violenza, finale, non si vede, come non si vede l’incontro di Maria con il bandito. Il piccolo mondo del quartiere è fatto di cose piccole, sempre sostanzialmente positivo, anche se i ragazzini deridono Juju ubriaco e questi rubacchia; netto il contrasto con l’ipocrisia e il cinismo del nuovo venuto, elegante, arrogante e senza scrupoli. Il film mantiene un senso di tenero apprezzamento per quel mondo di poveri e semplici senza accentuare in modo drammatico la malvagità del nuovo venuto, che anzi si presta a noterelle comiche (a volte divertenti, come la doccia organizzata dal servizievole Juju, altre volte un po’ forzate, come quando Pierre cade a testa prima per le scale della cantiina). Ottimo il controcanto corale dei poliziotti che perquisiscono, fanno controlli, indagano; soprattutto quello felicissimo dei ragazzini, in particolare quando mimano le avventure e la fuga rocambolesca di Pierre, mentre nell’osteria viene letto sul giornale il resoconto di quella fuga, mimata in tempo reale, fuori dalla finestra, per la strada, dai ragazzini.
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