Regia di Alexander Payne vedi scheda film
Se continua così, Payne, diventerà l'icona di un Cinema agrodolce, profondamente umano e che sta in piedi da solo, alla grande, anche a distanza di anni. Già con il precedente, sottovalutato, "Paradiso Amaro", che a me è piaciuto moltissimo, Payne compiva un balzo in avanti rispetto al già notevole "Sideways", ma qui disegna, pittura, il suo capolavoro. "Nebraska" è un film sulla disintegrazione dell'America, del sogno americano, ridotto a un pezzo di carta farlocco, sul conseguente svuotamento dei rapporti umani e dell'immenso territorio, sempre reso grigio, cupo e malinconico, dall'uso di un bianco e nero funzionale, non certo messo lì "perchè fa figo". La bravura di Dern, vecchio smarrito e alcolizzato, e degli attori di contorno, la brillantezza dei dialoghi (al livello di un Allen dei tempi d'oro), la lunga, ossuta, America delle strade periferiche, il Montana dell'ovest conquistato e oggi dimenticato e smunto, (stato americano già usato (male) da Wenders, a cui, Payne, è in qualche modo, è debitore), la malinconia del miglior Bogdanovich. Un film sulla disillusione, un vecchio talkin' blues che stempera il dramma con un tocco, meraviglioso, di cinismo e ironia. In ballottaggio con "Captain Phillips" per il mio Oscar personale.
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