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Quaranta pistole

Regia di Samuel Fuller vedi scheda film

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La recensione su Quaranta pistole

di SamP21
8 stelle

La trama in breve:

Una volitiva proprietaria terriera (Barbara Stanwyck) ha corrotto un aiuto sceriffo e spadroneggia su Tombstone grazie ai suoi quaranta bravacci. Un agente federale (Barry Sullivan) si reca sul posto per ristabilire la legge e l’ordine.

 

Facciamo una breve premessa, siamo nel 1957, il Western vive il suo periodo d’oro, la rivisitazione che porta verso la modernità il genere, ancora oggi vivo (!), è in atto.

Una serie di grandi registi ha introdotto innovazioni nel genere americano per eccellenza; dietro l’angolo sta per arrivare il crepuscolo, la fine del mito, il nuovo western, che durerà ancora a lungo.

Fuller è un regista di quelli grandi, capace di entrare nei generi e di apportare, anche all’interno dei confini hollywoodiani, delle piccole-grandi effrazioni. Al suo quarto Western, Fuller realizza un piccolo gioiello del genere, che ben immerso nelle sue atmosfere e prendendo spunto da film fondamentali, come Johnny Guitar di Nicholas Ray, riesce a mettere in luce una regia moderna e una visione del Western soggettiva.

 

Alla base del film vi sono due suggestioni, come detto Johnny Guitar, capolavoro tutto al femminile che unisce melò e western, che ribalta i canoni del genere in maniera sopraffina, ma anche e in parte Le Furie di Anthony Mann, con cui ha in comune la protagonista, una Barbara Stanwyck sempre brava.

 

Fuller parte da queste due suggestioni e nonostante una piccola produzione, che gli ha anche imposto il romantico finale, riesce a segnare il film con un’aria spettrale, anche grazie alla superba fotografia.

Piani sequenza lunghissimi, montaggio frenetico, inquadrature dal basso, pochi primi piani, ed una sequenza che anticipa di dieci anni le visioni del nostro Sergio Leone.

 

 

Fuller impone al film un’aria da noir, stringe i personaggi nel quadro, che mostra spesso dal basso, punta su un ritmo scellerato, l’azione è eccellente, e impone alla storia una donna molto forte, vestita di nero e su un cavallo bianco; il suo incontro con l’integerrimo giustiziere è romantico.

Poco meno di ottanta minuti per dare una idea di un Old West che sta mutando sempre di più, il protagonista è un giustiziere che da tempo ha abbandonato la pistola, che per rabbia torna ad usarla, per il bene della comunità e per vendetta.

 

I temi del genere ci sono tutti e sono condensati in questo gioiello, che non è esente da errori, ma che riesce a mostrare la visione di Fuller anticlassica del genere, ribalta il ruolo prestabilito della donna nel western, impone una regia piena di variazione, che poche volte si era vista fino a quel momento.

 

Il finale romantico, posticcio, poco affine alla storia, è un’imposizione della produzione, ma il cinema è pieno di questi casi e anche oggi non è cambiato molto, si pensi alla dittatura Disney nei film Marvel.

 

Vari i momenti da citare, oltre al primo duello che anticipa i primissimi piani di Leone, c’è il duello finale che di per sé è eccezionale, con un protagonista fino a quel momento lucido, ferreo ma teso sempre verso la giustizia, l’ordine, da notare in tal senso che la protagonista lo definisce un killer al servizio di Washington (pensiero che poi esploderà nel cinema di Sam Peckinpah), che finisce con lo sparare alla donna che ama, per fare giustizia ma soprattutto per vendicarsi.

 

Giustizia, vendetta, cittadine in mano alla mafia locale, killer al soldo del potere, violenza… Fuller condensa nel suo film alcuni dei temi che segneranno quel periodo del Western, per espandersi sempre di più da metà anni Sessanta.

 

Un film pieno di intuizioni di regia, teso, sensuale, come i migliori film di Fuller; ben recitato e splendidamente fotografato, nonostante i mezzi. Da vedere per chiunque voglia conoscere quel periodo del western e per chiunque ami Fuller.

 

Voto 8

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