Regia di Samuel Fuller vedi scheda film
I fratelli Bonnell, agenti per il Procuratore di Giustizia, cioè Griff (Barry Sullivan), Wes (Gene Barry) e Chico (Robert Dix), sono inviati in una vallata in cui Jessica Drummond (Barbara Stanwick), ricca proprietaria terriera, fa il bello e il cattivo tempo nella vicina cittadina nei pressi della sua tenuta, nella quale comanda ben quaranta pistoleri - le 'Quaranta pistole' del titolo - e lo sceriffo corrotto Ned Logan (Dean Jagger), a libro paga da lei, ma di cui ne è anche segretamente innamorato: tra agguati, sparatorie, tranelli, un tornado, si arriverà alle resa dei conti, con più di qualche esito sorprendente.
'Forty Guns' è il terzo western di Samuel Fuller e, per chi scrive, il migliore in assoluto per una serie di motivi rintracciabili non tanto nei temi trattati, non una novità nell'assunto ma piuttosto nel loro sviluppo ed epilogo, quanto ancor più nelle estrose e virtuosistiche scelte stilistiche, che vanno dall'uso magistrale del formato cinemascope, che consente nella furente scena iniziale di porre in un'unica inquadratura tutti e quaranta i membri al soldo della protagonista femminile e poi di costruirne altrettante per l'intera durata del film, basti pensare a quelle elaboratissime del primo scontro tra Griff e l'ubriaco Brockie (John Ericson), fratello di Jessica, oppure al tentato agguato andato a vuoto sempre a Griff, all'utilizzo, inusuale all'interno del genere, della soggettiva - si va da quella che rivela la forte miopia dell'ormai anziano Marshal Chisum (Hank Worden) a quella, arditissima, che dalla canna del fucile si chiude con il bacio tra Wes e la figlia dell'armaiolo del paese - nonché dell'uso di dettaglio, primissimo piano e dilatazione dei tempi per creare tensione, elementi già inaugurati con 'I shot Jesse James' ma qui perfezionati, ai quali avrà certamente attinto il nostro Sergio Leone per la sua trilogia del dollaro, per poi passare al piano sequenza - straordinario quello di tre minuti con cui si passa dalla camera in cui sono alloggiati i fratelli Bonnell alla Main Street dove essi incontrano prima lo sceriffo Logan e successivamente la torma scatenata di Jessica che arriva in paese per liberare Brockie dalla prigione - ed infine all'uso diegetico della musica, la ricorrente 'High ridin' woman' e 'God has his hands around me', toccante esecuzione di Jidge Carroll, rivelato da accorti movimenti di macchina.
Se per quanto riguarda il plot, come detto prima, siamo di fronte a una storia molto lineare e tipica dei canoni del western - una cittadina in cui comanda un possidente che non esita a usare metodi poco ortodossi, uno sceriffo pagato che fa il suo tornaconto fino all'arrivo della giustizia, che rimette in ordine le cose con l'uso della violenza - al contrario, assistiamo a un ribaltamento dei ruoli per ciò che concerne personaggi e interazione fra di essi: il protagonista 'cattivo' è una donna - rarità in un genere misogino, che aveva prodotto fino ad allora un unico personaggio di tale portata in 'Johnny Guitar' di Nicholas Ray, con perfino due donne che si contendevano un uomo - che addirittura compie un percorso di redenzione e di espiazione, innamorandosi del suo antagonista, provocando la gelosia dello sceriffo che, vistosi non corrisposto dalla donna, si toglie la vita e poi provocando l'ira di Brockie che deflagra nello scontro finale con l'agente.
Il tanto vituperato (happy) ending, imposto a Fuller - benché abbia prodotto e scritto il film - riduce solo parzialmente la forza del film poiché l'autore risolve la cosa con un'altra preziosa trovata visiva: vestendo di bianco la donna, che per tutto il resto del film avevamo visto in nero, a sottolineare la sua malvagità, fa si che il suo 'viaggio' personale sia compiuto e ora può andarsene via con Griff, l'uomo contro il quale prima aveva combattuto, che a sua volta lascia il comando al fratello minore, Chico, che anch'egli la dura lotta ha trasformato in un 'adulto' (all'inizio il rapporto Griff-Chico ha più i connotati di padre e figlio che tra fratelli) consapevole delle sue azioni e dei suoi doveri.
Eccezionale Barbara Stanwick nel ruolo di Jessica - forse il più significativo della sua carriera dai tempi di Phyllis Dietrichson de 'La fiamma del peccato' - dura e ruvida donna di frontiera che, alle prese con conflitti interiori e fantasmi del passato, capitola nell'epilogo. A testimonianza del suo temperamento, del suo carattere e del cammino da lei intrapreso nel corso del film ci sono le parole della canzone citata prima High Ridin' Woman, scritta da Harold Adamson:
She’s a high ridin’ woman with a whip,
She’s a woman that all men desire,
But there’s no man can tame her
That’s why they name her
The high ridin’ woman with a whip.
She commands and men obey
They’re just putty in her hands, so they say,
When she rides and the wind is in her hair,
She has eyes full of life, full of fire.
But if someone could break her
And take her whip away,
Someone big, someone strong, someone tall,
You may find that the woman with a whip
Is only a woman after all.
Il film è senz'altro da includere tra i trenta migliori Western della storia.
Voto: 8,5 (v.o. e doppiata).
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