Regia di Riccardo Milani vedi scheda film
In nome del presidente pescatore.
Che, dopo tre giorni (ovvero qualche scena, questione di una decina di minuti) già puzza.
Il problema di questi film che cercano di cavalcare la complessa ridicola onda della (anti)politica italiana (da ultimo il recentissimo Viva la libertà), sta nel fatto che nascono morti.
Come direbbe Carlo Lucarelli «era già morto ma non lo sapeva.».
Nascono morti, e puzzano. Altro che onda: non si rendono conto di essere superati e travolti dallo tsunami - "regolarmente" anomalo - che ci investe di materia fecale e putrefatta ogni istante della quotidianità. Poi, di questi tempi, nei quali impera la presenza infestante del marasma mediatico dalle innumerevoli e subdole forme, suvvia.
Allora, che fare? Domanda retorica: immergiamoci nella farsa, fino al collo. Fantastico.
Ma (giocare a) fare i brillanti - cercando di inseguire modelli altissimi (Oltre il giardino) o sublimemente medi e più affini (Dave. Presidente per un giorno) o gloriose gesta appartenenti ad un passato sempre più remoto (notasi la presenza di Lina Wertmuller tra i “poteri forti”) - non è (più) cosa nostra.
Franare è fin troppo facile, come scrivere un copione con la mente disconnessa, diseducata.
Per stare al passo con gli infausti tempi occorrerebbe una capacità di scrittura che vada al di là della vana e vacua ricerca della battuta, della scenetta scemotta divertente, degli alternati siparietti sessual-buonisti nella più fedele e tipica tradizione cerchiobottista che dice tutto per non dire nulla.
Osare, aggredire, divertire con sagacia e inventiva, piazzare stoccate cattive allo stomaco, scavare nel torbido e sporcarsi di melma: mera chimera.
Invece, con Benvenuto presidente! si pesca sul sicuro, scegliendo un Claudio Bisio cantore del candore e garante della simpatia (alla sua solita maniera: affabile, un po’paracula, perbene, in ultima analisi innocua). In sostanza si ammicca, si innesca l’effetto da indignazione “pro tempore” - cioè la durata del film - per la condotta le ruberie e il malaffare dei disonestissimi corruttissimi rappresentanti delle istituzioni, si persegue con fiato corto la trovata che scateni il plauso generale ed azioni il contagio della sganasciata, si flirta con la fantapolitica applicata al qualunquismo (oppure è il contrario, fa lo stesso).
Magari qualche sorriso scappa, ma il ricorso ad un repertorio grandemente abusato è più che evidente (sia nelle situazioni comiche che in quelle più “impegnate” come quelle in ospedale con i bambini), se non avvilente (l’«eppur si muove» della Smutniak rivolta all’erezione da muscolo involontario di Bisio rimanda ai pecorecci anni settanta, solo più “ripuliti” e pure un tantino vergognosi).
I riferimenti all’attualità sono, come detto, superati, ma il difetto principale è che sono del tutto inverosimili, perché completamente assoggettati ai dettami della farsa più cieca che non può - non vuole - colpire nessuno. La figura del presidente tratteggiata dal protagonista risulta alla fine una specie di mostro mitologico - un po’ (tanto) santo un po’ pescatore un po’ bibliotecario poeta un po’ navigatore sulle acque nere della politica capace di raccoglie consensi nonché miliardi di Euro da Cina e Brasile, un po’ genio che seduce e si spupazza la sexy vice segretario del Quirinale - e fuori da ogni logica e contatto dalla realtà.
Immancabile, poi, giunge l’amo del messaggio al quale è fisiologico abboccare, con la morale affidata al sermone declamato in parlamento dal (dimissionario) presidente che pretende le dimissioni di tutti, elettori compresi, ed auspica un successore adatto e competente. Parole buone e giuste, per carità, ma che due balle.
L'unico elemento che riesce a deviare, in parte, il paludato prevedibile corso del film è la presenza di Kasia Smutniak, d’una prorompente indecente bellezza, il cui culmine si manifesta quando, in occasione di una “drogata” cena con i cinesi (pizza con marijuana al posto dell’origano, evviva la fantasia), imbraccia una chitarra e canta, ottenendo la partecipazione collettiva, l"inno" Comandante Che Guevara: lì ogni senso raccoglie le proprie energie indirizzandole ad uno solo, la vista, per mezzo degli strafelici increduli occhi che sono irrimediabilmente attratti verso quelle paradisiache cosce.
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