Regia di Scott Charles Stewart vedi scheda film
Dagli autori di Insidious e Sinister, che sono stati, nel bene o nel male, una rispolverata del genere horror. Nel primo caso il sequel aveva migliorato diversi aspetti negativi, nel secondo era la paura a non riuscire ad attecchire, nonostante la curiosissima e originalissima trama. E adesso Dark Skies si lancia oltre la velocità della luce, in maniera professionale e senza sbavature, in un esperimento horror che sembrava perdente sul nascere, vista la ripresa geometrica e ridondante degli stilemi tradizionali (famiglia presa di mira - fantasmi o alieni, che differenza fa? -, strenuo combattimento per la difesa dell'integrità del nucleo sociale disturbato, finale più o meno spettacolare). Il risultato però è decisamente positivo, perché Scott Charles Stewart dirige con mano sicura, senza volontà autoriali e cercando con tutte le forze di oltrepassare una serie di limiti che l'horror ha imposto negli ultimi anni. Benché la regia non abbia decisamente il fascino controverso delle avvolgenti inquadrature di James Wan, che rendeva instabile il contesto più inoffensivo senza però concludere con finali adeguati (il finale di Insidious, quale drammatica disdetta!), è tutto rispolverato con il labor limae più accurato, ben sceneggiato e interessato a curarsi dei suoi personaggi, che non si limitano ad essere barbara carne da macello né sembrano costruiti su misura per la loro dissoluzione (altro che Il quarto tipo), nonostante vivano in quella certa provincia americana che non a tutti dispiace sia ricolma di serial killer e fantasmi dentro gli armadi visto che ormai questi l'hanno abituata alla loro presenza. I (pochi) spaventi, leggermente telefonati, sono quasi tutti da 'salto sulla poltrona', la tensione non molla un attimo gli occhi piangenti (non sempre presenti) dei quattro membri della famiglia, il nervosismo psicologico cresce anche di fronte e di pari passo alla crescente incredulità del circondario e non solo, anche dello stesso padre, che non siamo mai in grado di decidere se ci stia simpatico o meno. La madre è sicuramente un carattere immacolato, anche nell'impotenza; il figlioletto strabuzza gli occhi e si fa infliggere piccole crudeltà dall' "uomo dei sogni"; il figlio più grande, con un limite veramente basso di comprensione, ma perché sta crescendo ed è ancora in un'età fra l'acerbo e il maturo, particolarmente cresciuto per la sua età, è straordinariamente inquadrato dal punto di vista caratteriale. Il padre, come già detto, è il più ambiguo, prima difende ed è incredulo, poi è quello con i piedi per terra, poi è il primo a dimostrare il fallimento della razionalità, il che dimostra come gli horror ce l'abbiano veramente a morte con i padri di famiglia (da Shining in giù). In ogni caso è sempre inquietante la sua costante presenza negativa, tanto che nell'ultimo sogno fatale del figlio maggiore realizza il crimine più efferato e inenarrabile.
Ed è qui che Dark Skies, fra trovate più o meno originali, lancia la sua stoccata più importante che può far prendere al genere horror una grande boccata d'aria: gli alieni, infidi e crudeli, sembrano apparire nei sogni, e questo ancora ancora non è tanto originale, quanto il fatto stesso che quegli stessi sogni in realtà non sono sogni ma sono eventi già accaduti, in un climax decrescente che spoglia il risveglio del suo potere salvifico. L'orrore dei sogni è vero, si plasma sui lividi della nostra pelle e sulle escrescenze dietro l'orecchio. Non ha una vera e propria faccia e sicuramente non è perfettamente definito neanche quando appaiono gli alieni, (quasi) sempre presi nel lato sfocato nell'immagine, mai veramente a fuoco nel buio delle loro silhouette, il che si fa conferma assoluta del disinteresse (o della cura non spettacolarizzante) nei confronti dell'esibizione di effetti speciali. Gli alieni di Dark Skies ci ricordano la versione ripulita (e anche leggermente meno inquietante a vedersi) degli alieni antropomorfi e realmente spaventosi di Signs, anche quello un buon film che distruggeva alcune certezze a costo di ricostruirne di nuove. E questo per dire che in Dark Skies, anche più riuscito, c'è un maggiore e sottile pessimismo, specie nel finale appena appena speranzoso, che ci fa udire un richiamo perduto confuso nei suoni extraterrestri.
Ma tornando all'argomento 'sogno-realtà', questo è uno dei pochi aspetti che rendono il film un esempio davvero alto di originalità orrorifica, perché il distruggere il suddetto 'potere salvifico del risveglio' è distruggere uno degli stereotipi più stravisti al cinema, quello del sogno/incubo premonitore. Qui il sogno non anticipa nulla, ricorda il passato. E ancora, non è sogno ma è realtà, e gli alieni, in un certo qual senso, privano gli uomini stessi del sogno, e li rendono sempre più stretti in una clausura anche psicologica che restringe e chiude anche le pareti della normale casa americana a due piani e munita di scala e corridoi inquietanti. E fosse solo l'incubo! A venire distrutti, in Dark Skies, sono anche gli stereotipi riguardanti il lieto fine (che normalmente sottendono un cliffhanger qui non necessariamente presente), l'ordine precedente il disordine (qui è sempre disordine, da quello finanziario bruciante nei nostri tempi di crisi a quello extrasensoriale) e, infine, ultimo ma non ultimo, lo stereotipo prolisso e ormai inevitabile delle telecamere disposte in casa, che falliscono nel loro intento di riprendere gli alieni che, muniti di intelligenza, provocano disturbi all'immagine, senonché si lascino scappare una piccola ombreggiatura nelle tre camere da letto, che non distrugge la demolizione dello stereotipo ma la annacqua decisamente. In ogni caso, piccole dosi di coraggio contraddistinguono la pellicola, in particolar modo nelle brevi confusioni visive del finale, in cui davanti agli occhi del primogenito si trasfigurano i suoi incubi più brutali, sia riguardanti la famiglia sia riguardanti la piccola ragazzina di turno impegnata nella visione di uno scabroso filmetto porno in compagnia del di lui migliore amico. I piccoli turbamenti adolescenziali sono l'orrore più colpito, altro che infanzia turbata (sebbene il colpo di scena finale metta a posto anche questo). Anche se sono messe a posto tante cose, il film dimostra che si possono apportare nuovi spunti all'horror senza necessariamente scardinare la tradizione, dimostra che ci può essere profondità anche nel discorso più risaputo, dimostra che sì, è terrificante l'idea che gli alieni ci attacchino, ma è altrettanto terrificante (con la splendida frase iniziale) che in realtà potremmo essere soli. Forse la sola vera consolazione è che, anche se imperscrutabili, gli orrori hanno una loro forma. Il passo successivo, senza esagerare, è Haneke.
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